Ue. Premio Sacharov 2021 a Navalny. Ma non è tutto oro quel che luccica

di Enrico Oliari

Ha più del politico in chiave antirussa che sapore umanitario il Premio Sacharov 2021 che il Parlamento europeo ha assegnato al noto oppositore Alexei Navalny. La cerimonia si è svolta a Bruxelles e il riconoscimento, stabilito dalla Conferenza dei presidenti del Parlamento europeo, è stato affidato alla figlia Daria Navalnaya, poiché Navalny è al momento in carcere e condannato ai lavori forzati.
Per Bruxelles l’oppositore russo, leader di “Russia Futuro”, viene ad essere un paladino della lotta alla corruzione, ed oggi il presidente dell’Europarlamento David Sassoli ha affermato che “È stato minacciato, torturato, avvelenato, arrestato, incarcerato, ma non sono riusciti a farlo smettere di parlare… come disse una volta lui stesso, la corruzione prospera dove non c’è il rispetto per i diritti umani, e credo che avesse ragione”. “La lotta alla corruzione – ha aggiunto – è anche una lotta per il rispetto dei diritti umani universali. È senza dubbio una lotta per la dignità umana, per il buon governo e per lo Stato di diritto”.
In febbraio Navalny è stato condannato a tre anni e mezzo di carcere per aver violato gli arresti domiciliari, ma diversamente non poteva fare dal momento che era stato ricoverato in Germania quasi morente a seguito del tentato avvelenamento del 20 agosto dello scorso anno con l’agente nervino Novichok, lo stesso usato per Skripal: era stato colto da un malore sul volo che da Tomsk, in Siberia, doveva portarlo a Mosca, poco dopo aver avuto un tè presso il bar dell’aeroporto di partenza. Il volo era poi atterrato a Omsk, e da lì Navalny era stato portato in Germania su richiesta dei parenti, ma contro il parere delle autorità russe. La presenza del Novichok nel sangue era stata accertata dal laboratorio dell’esercito tedesco, ma Navalny aveva reso noto, dopo essersi spacciato nel corso di una telefonata per un tal Maksim Ustinov (un alto ufficiale del Fsb), che il veleno era in realtà stato messo negli slip e non nel tè. Il viaggio di Navalny era finito con l’arresto e il processo non appena giunto all’aeroporto di Sheremetyevo di Mosca, e prima che gli scattassero le manette ai polsi, aveva affermato che “Io sono qui e vi posso assicurare di essere felice, questa è casa mia”. Le accuse di avvelenamento mosse nei confronti degli apparati russi sono state respinte dallo stesso presidente Vladimir Putin.
Perchè tuttavia per la giustizia russa Navalny non poteva lasciare il paese? Non occorre molto per capire chi sia Navalny, basta prendersi la briga di aprire Wikipedia: l’oppositore russo è quanto di più distante vi sia dai valori dell’Ue, tanto che il capo di “Russia del Futuro” è tradizionalmente xenofobico e nazionalista; nel 2008, in occasione della guerra dell’Ossezia del Sud, insultò apertamente i georgiani chiedendone l’espulsione dal paese; nel 2013 difese sul suo blog i neonazisti russi autori di raid punitivi per un omicidio compiuto da un azero, puntando il dito contro “orde di immigrati regolari e clandestini”. Inoltre le numerose denunce e i processi non sono tutti indirizzati a colpire la sua instancabile lotta per la libertà, basti vedere che tra le poche condanne passate in giudicato a suo carico vi sono quella del 2013 a cinque anni di reclusione per furto di legname insieme all’imprenditore Pyotr Ofisterov, e quella a tre anni e mezzo del 2014 per frode e riciclaggio insieme al fratello Oleg nel quadro dell’affaire “Ives Rocher”, pena sospesa, appunto, con la condizionale.
Navalny non è quindi uno stinco di santo, ma anche i giudici russi hanno evidentemente peccato di intransigenza dal momento che è vero, sarebbe evaso dalla libertà condizionata, ma in modo del tutto involontario, cioè in coma, in Germania.
L’inchiesta “Ives Rocher” lo vede accusato di appropriazione indebita per essersi, stando alle accuse, intascato 4,8 milioni di dollari delle donazioni alla Fondazione anti corruzione che dirige.
Sulla Crimea, tanto cara all’Ue da imporre sanzioni alla Russia, Navalny ebbe a dire che “non è un panino al prosciutto che si può restituire”.
Più che l’amore per Navalny, dal gesto del Parlamento europeo traspare l’odio dell’occidente per Vladimir Putin, condivisibile o meno che sia. Ma con oggi tale strumentalizzazione toglierà brillantezza al Premio Sacharov, com’è stato per i Nobel ad Aung San Suu Kyi, che da leader de facto della Birmania ha chiuso gli occhi sul massacro della minoranza Rohingya, e al presidente Usa Barak Obama, capo di quell’esercito più potente del mondo che in quel momento aveva aperti tre fronti di guerra e compiva stragi di civili.
Le altre finaliste del Premio Sacharov del Parlamento nel 2021 sono state le donne afghane per la loro lotta in difesa dei diritti delle donne nel loro paese e la politica boliviana Jeanine Áñez.