Ue. Rapimento minori: perché il Parlamento europeo si è espresso sul Giappone

di C. Alessandro Mauceri

Pochi giorni fa al Parlamento europeo è stato presentato una proposta di risoluzione relativa al rapimento internazionale di minori dell’Ue in Giappone. Una decisione che ha lasciato molte persone perplesse: perché il Parlamento europeo dovrebbe occuparsi di un problema simile? Sono davvero così tanti i casi di rapimento genitoriale tra Giappone e Ue? In Italia, paese molto attento al fenomeno dei minori scomparsi, nel 2019 i minori vittime di rapimento genitoriale sono stati complessivamente poco più di una quarantina, su un totale di oltre ottomila segnalazioni di minori scomparsi.
Per strano che possa sembrare, di tutte le cause di scomparsa di un minore, i rapimenti genitoriali sono con la tratta di minori gli unici ad essere oggetto di accordi internazionali, sebbene ancora oggi ratificati da circa la metà dei paesi del mondo. Come la Convenzione dell’Aia, detta la “Convenzione sugli aspetti civili del rapimento internazionale di minori”, che prevede procedure per il ritorno di un minore nel paese di residenza abituale e la garanzia dell’esercizio dei diritti di accesso per entrambi i genitori. Portare i bambini oltre i confini nazionali senza il consenso di entrambi i genitori infatti è considerato “rapimento internazionale di minori” nel trattato dell’Aia. Se i bambini non vengono restituiti rapidamente, i paesi occidentali condannano i ritardi come una “grave violazione dei diritti umani”.
Anche il Giappone in un primo momento non aveva ratificato questo accordo. Solo nel 2014, visto il numero elevato di matrimoni “internazionali” e la pressione di Stati Uniti d’America e altri paesi tra cui l’Europa, Tokyo aveva finalmente ratificato il trattato.
Sono molti i giapponesi che vivono in Europa, magari per motivi di lavoro, e che hanno avuto dei figli con un/una coniuge europeo/a. Il problema nasce quando il genitore giapponese, dopo il divorzio, decide di rientrare nel paese d’origine portando con sé i figli. Ma senza il consenso dell’altro genitore.
É da questo che nascono le dispute internazionali. Contese che, secondo quanto previsto dagli accordi dell’Aia, non dovrebbero esistere o, meglio, dovrebbero essere risolte rapidamente. Purtroppo non è così.
A far scoppiare lo scandalo è stato il discorso tenuto a Parigi, da un avvocato della Federazione giapponese degli avvocati. Durante una conferenza sulla Convenzione dell’Aia ai genitori giapponesi (principalmente madri) che vivono in Francia, questo avvocato invece di consigliare ai suoi ascoltatori come gestire questi problemi nel rispetto della Convenzione dell’Aia, ha specificamente informato i presenti sulle possibilità esistenti di bypassarla, suggerendo come evitare l’applicazione della legge giapponese che ha ratificato la Convenzione dell’Aia.
In base a questo trattato, quando si verifica il rapimento di un minore da parte di un genitore le autorità dei paesi coinvolti, cioè il Ministero degli Esteri nel caso del Giappone, sono tenute ad intervenire. Se i colloqui con il minore e con i due genitori non bastano a risolvere il caso, la questione viene sottoposta al giudizio di un tribunale nel paese in cui il minore è stato portato. È qui che nasce il problema. Un funzionario del Ministero degli Esteri giapponese ha affermato che un tribunale giapponese emetterà un ordine di rimpatrio, ma solo dopo aver attentamente valutato tutti i fattori rilevanti in modo da garantire che il bambino non soffrirà dopo il ritorno. In realtà, come hanno confermato anche autorità americane, molti di questi casi in Giappone rimangono irrisolti anche dopo che i tribunali hanno emesso ordini di rimpatrio, per cui il problema non riguarda solo l’Europa ma anche altri paesi: il rapporto annuale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti sul rapimento internazionale di minori ha inserito il Giappone tra i paese non in conformità con la Convenzione sull’Aia.
Esiste una discrasia tra le leggi giapponesi e la norma che ha ratificato il trattato internazionale. Non solo la legge giapponese vieta l’uso della forza nel sottrarre i bambini ai genitori “rapitori” per rendere esecutivo l’ordine di rimpatrio in tribunale. Ma il problema potrebbe essere molto più “profondo”, di natura culturale. In occidente generalmente dopo la separazione dei genitori la custodia dei figli è affidata ad entrambi i genitori, sebbene con tempi e momenti diversi. In Giappone non è così. Il diritto civile giapponese spesso garantisce la custodia a uno solo dei genitori divorziati, in genere la madre. Lo stesso avviene, purtroppo, anche in Brasile e in Argentina, anche questi paesi criticati per non conformità con il trattato dell’Aia.
Per risolvere questo grave problema alcune associazioni hanno cercato di sensibilizzare la popolazione organizzando conferenze stampa in Giappone e interventi sui media internazionali. Anche la denuncia al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, dove si parlava di gravi violazioni dei diritti dei minori, non ha avuto seguito. A marzo 2018 26 ambasciate europee hanno protestato con una “demarche” inviata al ministro della Giustizia giapponese, chiedendo al governo del Sol Levante il rispetto dei trattati Onu e della Convenzione dell’Aia. Il presidente Macron avrebbe sollevato la questione durante il G20 di Osaka del 2019 rivolgendosi direttamente al primo ministro Abe, ma in cambio ha ricevuto solo una nota che rimandava tutto al Ministero della Giustizia giapponese. A febbraio due genitori, uno francese e uno italiano, entrambi vittime di rapimento genitoriale da mogli giapponesi, hanno presentato una petizione all’Unione Europea chiedendo la revoca dell’accordo di libero scambio tra i due paesi, l’EPA, affermando che la violazione da parte del Giappone degli accordi sui diritti umani violerebbe fattori fondamentali alla base dell’accordo economico. Ma non è servita a nulla: troppo forti gli interessi economici in ballo per pensare ai diritti dei bambini.
Ultima ratio rimasta: presentare il problema al Parlamento europeo.
Tutto inutile: il Giappone finora non sembra voler fare nulla per migliorare la situazione. Da un lato, ha sottoscritto gli accordi internazionali cercando di far credere agli altri paesi di essersi “modernizzata”, di disporre di leggi che prevedono il rispetto dei diritti umani fondamentali. Dall’altro rimane legato a tradizioni antiquate e ha ignorato le esigenze dei bambini che rimangono schiacciati da questa inerzia culturale che arriva a considerare traumatico esporre i figli al padre biologico se non vive più nella stessa casa. In questo modo i bambini crescono con l’idea che è il padre ad averli abbandonati (nel 2018, è stato registrato il più alto tasso di suicidi tra i giovani, spesso vittime di bullismo e solitudine).
A riprova del modo di gestire il problema da parte delle autorità giapponesi, il fatto che non esisterebbe nemmeno un registro dei casi di bambini contesi. Che stando ad alcune fonti sono almeno 150mila bambini. Ogni anno. Ma la senatrice Yukiko Kada sostiene che sono molti di più, addirittura oltre i 210mila. In un anno. Casi chiusi con un divorzio amministrativo spesso giustificato con violenze domestiche da parte del genitore non giapponese (mai verificate) o con tradizioni che non impediscono a decine e decine di migliaia di bambini di avere due genitori, ma solo uno: quello giapponese.