di Giuseppe Gagliano –
Il vertice militare convocato a Parigi da Emmanuel Macron ha rappresentato una svolta nella strategia europea sulla sicurezza. Con i capi di Stato maggiore di oltre 30 Paesi riuniti per discutere la formazione di una forza multinazionale di peacekeeping, il messaggio è chiaro: l’Europa non può più permettersi di dipendere dagli Stati Uniti per la propria difesa. Ma dietro le dichiarazioni ufficiali si cela un interrogativo strategico di più ampia portata: questa forza sarà realmente efficace o rischia di trascinare il continente in una nuova escalation con la Russia?
L’incontro di Parigi si è svolto in un clima di crescente preoccupazione per la posizione degli Stati Uniti, dopo che l’amministrazione Trump aveva temporaneamente sospeso gli aiuti militari all’Ucraina e adottato un atteggiamento più conciliante nei confronti di Mosca. Il messaggio lanciato da Macron è stato inequivocabile: l’Europa deve “esercitare tutto il suo peso” nel conflitto, senza dipendere esclusivamente da Washington.
A rendere il quadro ancora più incerto è la decisione americana di riprendere la condivisione di intelligence con Kiev, annunciata poche ore dopo il vertice di Parigi. Questo dimostra che gli Stati Uniti restano un attore chiave nel conflitto, ma il loro impegno è sempre più incostante e dettato dalle dinamiche politiche interne. Se il sostegno americano dovesse nuovamente vacillare, l’Europa si troverebbe davanti a un bivio: assumere un ruolo più attivo o rimanere in una posizione di dipendenza strategica.
L’idea di una forza di peacekeeping in Ucraina è senza dubbio ambiziosa. La proposta prevede un contingente militare che possa monitorare un eventuale cessate il fuoco e garantire la sicurezza di Kiev. Tuttavia, i dettagli operativi restano vaghi. Secondo le prime indiscrezioni, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avrebbe chiesto fino a 200.000 soldati, un numero chiaramente irrealistico per le attuali capacità europee. Gli esperti ritengono che un contingente più realistico potrebbe aggirarsi tra i 15.000 e i 20.000 uomini, sufficienti a fungere da deterrente ma non abbastanza numerosi da essere percepiti come una minaccia diretta da Mosca.
E proprio qui si trova il vero nodo geopolitico. Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha già avvertito che qualsiasi dispiegamento europeo in Ucraina sarebbe interpretato come un coinvolgimento diretto della NATO nel conflitto, con il rischio di una pericolosa escalation. Mosca potrebbe considerare tale forza non come un semplice strumento di peacekeeping, ma come una presenza ostile sul suo fianco occidentale.
L’iniziativa francese riflette un cambiamento significativo nel dibattito europeo sulla sicurezza. Per anni, l’Europa ha affidato la propria protezione alla NATO, ma la crescente imprevedibilità della politica americana ha spinto leader come Macron a promuovere una maggiore autonomia strategica. Tuttavia, le difficoltà pratiche rimangono enormi.
A differenza degli Stati Uniti, l’Europa non dispone di un comando militare unificato né di una catena di comando efficace per operazioni su larga scala. Inoltre, i governi europei sono divisi sulla portata e gli obiettivi di questa iniziativa. Paesi come la Francia e la Polonia spingono per un ruolo più attivo, mentre altri – come la Germania – sono più prudenti, temendo un’escalation incontrollata.
Un altro problema è rappresentato dalle risorse. Creare una forza di peacekeeping credibile richiederebbe investimenti significativi, sia in termini di personale che di equipaggiamenti. Ma in un’Europa già gravata da problemi economici e sociali, è lecito chiedersi se i governi saranno davvero disposti a sostenere tale sforzo.
Il vertice di Parigi ha segnato un primo passo verso una maggiore autonomia europea in materia di sicurezza, ma ha anche messo in evidenza tutte le difficoltà e le contraddizioni di questo progetto. Creare una forza di peacekeeping per l’Ucraina è un’idea che, sulla carta, potrebbe garantire stabilità, ma nella realtà rischia di trasformarsi in un ulteriore elemento di tensione tra Europa e Russia.
Il vero problema è che l’Europa si trova a giocare una partita su un terreno minato. Se la missione di peacekeeping verrà percepita da Mosca come un’azione ostile, il rischio di una nuova escalation sarà concreto. Se, invece, la missione risulterà troppo debole, finirà per essere inefficace e irrilevante.
In definitiva la domanda da porsi è: l’Europa è davvero pronta a prendere in mano la propria sicurezza o sta semplicemente cercando di riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti senza avere i mezzi per farlo?