Un legame quasi inscindibile tra opportunità geoeconomiche ed opportunismo nazionalistico

di Massimo Ortolani

Il presente contesto pandemico, l’insospettato slancio di solidarietà europea espresso con il Recovery Plan, i costi e le opportunità della Brexit, così come l’accelerazione verso un trattato Ue-Cina sugli investimenti, sono eventi epocali che nel loro divenire consentono di sollevare anche il velo sulle opacità opportunistiche che connotano molto spesso il perseguimento di encomiabili obiettivi geoeconomci. Non si tratta di una questione riconducibile solamente alle ambizioni personali di politici vocati alla realpolitik, poiché è notorio che tra gli intenti applicativi della geoeconomia sono ricorrenti anche quelli di “servirsi di nicchie non coperte dalle regole economiche internazionali, comprese quelle che possono essere create distorcendo tali regole, ovvero violandone contenuto e finalità”(1).

Un esempio di diplomazia politica e commerciale interpretabile in base allo schema suindicato, è quello legato all’opportunità di avvalersi strategicamente di contingenze geopolitiche in corso, potenzialmente favorevoli al raggiungimento degli obiettivi che si intende perseguire. Basti pensare all’effetto di dimostrazione che il fenomeno Brexit sta esercitando su una nazione come la Norvegia, in cui il partito di centro vuole ora un nuovo accordo più flessibile, alternativo a quello da tempo sottoscritto con la Ue. Naturalmente l’esito dipenderà dalla capacità di contrattazione, ma un precedente è sempre utile in tali casi. In altri invece è quasi impossibile separare opportunità geostrategica ed opportunismo nazionalistico.

Angela Merkel. (Foto: Notizie Geopolitiche).
Come quando la cancelliera tedesca Angela Merkel si è spesa contro i paesi nordici per la definizione ed approvazione del Recovery Plan, a ciò indotta dal pensiero della co-dipendenza della prima economia dell’Unione non solo e non tanto dal complessivo mercato europeo, ma anche e soprattutto dalla mancata crisi di un paese fortemente fornitore delle sue imprese esportatrici, come l’Italia. Anche in altre vicende storiche il comportamento della Germania non è apparso così generoso verso gli altri paesi membri, come ci si sarebbe aspettato. Basti pensare ai sacrifici economico-finanziari loro imposti con le modalità seguite nel portare avanti il processo di riunificazione nazionale, nel corso del quale la Bundesbank alzò i tassi di interessi. E soprattutto nell’essere riuscita a mantenere per anni il mancato rispetto di un importante parametro di Maastrict, quello del superamento del 6% del surplus commerciale in rapporto al PIL. Operando con abilità e furbizia nei rapporti di diplomazia interna con la Ue, la Merkel è riuscita a far passare in secondo piano tale squilibrio sulle partite correnti, da ricondursi alla nozione di “squilibrio macroeconomico”, rispetto a quello del debito pubblico italiano e di altri paesi, definito invece “squilibrio macroeconomico eccessivo”. Ma, per esplicitare un giudizio più completo sulla cancelliera, è doveroso anche ricordare la sua stregua difesa, sul piano geopolitico, dei valori democratici europei. Come nelle dichiarazioni contro l’ingresso della Turchia nella Ue (un paese storicamente grande partner della Germania), nella scelta, non gradita a Pechino, di incontrare il Dalai Lama, o nell’intransigenza nel rinnovare le sanzioni Ue contro la Russia, alle soglie del completamento del North Stream 2.

Se invece consideriamo le vicende emerse con la geopolitica dei vaccini, come non accennare ancora una volta al comportamento della Germania. La quale, grazie ad un accordo bilaterale, ha acquistato ulteriori 30 milioni di dosi di vaccino Pfizer-BioNTech, quote che si aggiungeranno alle 55,8 milioni di dosi previste nella ripartizione decisa dall’Unione Europea. Il fatto è che l’azienda produttrice proprio pochi giorni fa ha avvertito che da sola non ce la farà a coprire la domanda ed ha chiesto a Bruxelles di approvare con celerità altri farmaci.
E però in un tale frangente temporale nel quale i tempi tecnici della produzione restringono le possibilità di offerta complessiva, le commesse aggiuntive giustificate da opportunismo nazionalistico, sono inevitabilmente destinate a pregiudicare i tempi di produzione delle quote di vaccino acquistate dalla Ue per l’insieme dei paesi membri.

I sottesi intenti, tanto geoeconomico che umanitario, sono in tal caso quelli di arrivare a sistema economico tedesco nel minore tempo possibile, date le ben note performance della macchina organizzativa teutonica. E con inevitabili benefici per la competitività prospettica delle aziende tedesche. (Sui percorsi vaccinali “ottimali” sul piano politico appare inoltre opportuna una digressione su quanto deciso dal governo indonesiano. L’Indonesia infatti ha in programma di dare avvio alla campagna di vaccinazione a partire dalla fascia di popolazione più giovane e in età lavorativa. Con l’intento, quindi, di considerare più opportuno, sul piano geoeonomico, conferire priorità a quei soggetti che tendono ad avere una vita sociale più intensa, ancorchè asintomatici. E’ però evidente che si tratta di una scelta che potrà rivelarsi molto impopolare, in particolare se l’immunità di gregge (ed i suoi benefici effetti economici) si raggiungesse in tal caso privilegiando il contrasto alla contagiosità a scapito del numero dei decessi).

In relazione infine al previsto accordo Ue-Cina sugli investimenti, va aggiunto che la Germania, con le 3mila sussidiarie cinesi di aziende tedesche in Cina, ha pensato di favorirne l’accelerazione approfittando della crescente apertura di Pechino verso le multinazionali estere. E soprattutto per cogliere l’opportunità geoeconomica, dopo la travagliata esperienza di Trump, per ridurre la probabilità che gli effetti in corso sulla rimodulazione delle catene del valore generino conflitti geostrategici che, travalicando l’ambito commerciale, si traducano in potenziali conflitti finanziari. Anche se, a questo proposito, il formalismo intellettuale di qualche analista si è spinto ad intravedervi il rischio di un opportunismo nazionalistico riconducibile ad un successivo, possibile irrigidimento tedesco, per compiacere a Biden.

L’Italia si è mantenuta sinora in posizione defilata sulle tematiche di tale accordo. Secondo taluni, ancora per non urtare diplomaticamente la suscettibilità del nuovo capo della Casa Bianca, ovvero quella dell’establishment cinese, con il quale ha firmato il Memorandum of Understanding. E forse anche memore del fatto che proprio l’atto formale della firma di questo MOU l’ha esposta ad osservazioni critiche provenienti sia dai principali partner Ue, che da oltre atlantico. Osservazioni che a distanza di tempo appaiono pertinenti. Siamo infatti sicuri che le iniziative di cooperazione sino ad ora realizzate tra Roma e Pechino non avrebbero potuto essere sviluppate senza il MOU?

Come non accennare, a due paesi membri a democrazia illiberale come Polonia ed Ungheria. Che hanno manifestato in svariate occasioni di non rispettare i principi della coesistenza nell’ambito di un organismo sovranazionale come la Ue, che impone di contemperare i propri interessi nazionali con l’esercizio di una flessibilità di leadership politica che non può comunque prevaricare i valori sui quali si fondano i trattati dell’Unione, e che si sostanziano nelle precondizioni che inibiscono in linea di principio l’adesione alla Ue. Lo Stato di diritto è infatti uno dei valori fondamentali ai quali si ispira l’Unione Europea, inserito a chiare lettere nell’art. 2 del Trattato. Non è un’espressione astratta. Come sottolineato dalla Commissione “Lo Stato di diritto incide direttamente sulla vita di tutti i cittadini. Implica (Rule of Law) che tutti i membri di una società – compresi i governanti e i parlamentari – siano uguali di fronte alla legge e soggetti al controllo di organi giurisdizionali indipendenti e imparziali”.

E però qui il pensiero strategico dettato dalle contingenti opportunità geopolitiche della Ue, che avrebbe voluto concordare con urgenza il Recovery Plan escludendo tali paesi dai benefici dei fondi Recovery, o imponendo condizionalità, si è in tal caso disperso paradossalmente nell’interpretazione giuridica degli stessi trattati. Dato che i due paesi sono stati in grado di dimostrare che, proprio stando al testo dei trattati, non si intravedano i nessi di causa alla base di una loro eventuale esclusione. Infatti all’articolo 7, paragrafo 3 del trattato sull’Unione, è stato istituito un apposito meccanismo sanzionatorio, con la previsione che il Consiglio possa arrivare a sospendere alcuni fondamentali diritti derivanti dalla qualità di Stato membro, compresi i diritti di voto. E che, in relazione ai fondi del Recovery, il nesso di causalità tra tali violazioni e le conseguenze negative sugli interessi finanziari dell’Unione, e sulla gestione del suo bilancio deve essere sufficientemente diretto ed adeguatamente stabilito.

Ne deriva, sul piano geopolitico, che evitare tali problematiche con democrazie che assumono comportamenti da free rider dopo l’adesione all’Unione appare espressione di una opportunità geopolitica solo potenziale per la Ue, a fronte di un opportunismo nazionalistico praticato, seppure temporalmente.

Note.
(1) Come indicato da autorevoli cultori della geoeconomia, e segnalato da chi scrive in “Intelligence Economica e Conflitto Geoeconomico – Ed. Goware – pag 19).