Una nuova Europa è possibile e necessaria

di Giovanni Caruselli

È ingeneroso accusare Bruxelles di non voler prendere posizione riguardo all’uso di armi a lunga gittata cedute all’Ucraina. Dobbiamo ricordare che l’Unione Europea non è la Repubblica degli Stati Uniti in cui i governi dei cinquanta Stati che la compongono sono tenuti a rispettare le scelte di politica estera che si operano alla Casa Bianca. L’Ue non ha un esercito comune perché non ha un governo comune con pieni poteri e neanche forze armate che ne eseguano le disposizioni. I margini di autonomia degli Stati che la compongono sono larghissimi e questo rende quanto mai complicato effettuare scelte comuni che possono comportare conflitti armati di dimensioni inaudite. I singoli governi hanno fatto uso della sovranità di cui ancora dispongono per assumersi ciascuno le proprie responsabilità riguardo all’uso delle armi cedute all’Ucraina.
Certamente di critiche se ne possono fare, e non poche. L’appoggio a Kiev “senza se e senza ma” ne ha invece moltissimi, di se e di ma. Qualcuno crede veramente che ci sono Paesi europei pronti a una dichiarazione di guerra contro la Russia, in difesa di un’Ucraina che dovesse rischiare di perdere la sua indipendenza? Qualcuno crede veramente che se il Cremlino decidesse di usare l’arma atomica gli europei si esporrebbero alle conseguenze di un conflitto nucleare, ammesso e non concesso che ne avessero i mezzi? La mancanza di trasparenza è sempre stata una componente della politica estera di ogni Paese e questa circostanza non fa eccezione. È convinzione abbastanza diffusa che la decisione di sostenere l’Ucraina sia stata presa dall’altra parte dell’Atlantico per ragioni strategiche ed economiche molto complesse. Nella visione degli esperti del pentagono probabilmente i futuri equilibri planetari sono apparsi incompatibili con un avvicinamento fra la Ue e la Russia postcomunista.
Sarebbe forse molto più opportuno cercare di capire perché i movimenti antieuropeisti crescono, sia pure in maniera discontinua e con caratteristiche diverse, come dimostrano le elezioni degli ultimi anni. Questi movimenti associano all’antieuropeismo una sorda ostilità all’appoggio che i Paesi della Ue stanno prestando all’Ucraina dall’inizio della guerra. E questo benché nel conflitto si possa distinguere abbastanza bene l’aggressore dall’aggredito. La parola “filorusso”, che fino a qualche tempo fa suonava come un tradimento degli ideali dei Paesi democratici, ricorre sempre più spesso nei giornali e nei social e sarebbe il caso di chiedersi che cosa associa l’antieuropeismo montante con il filoputinismo.
La prima osservazione che va fatta è certamente relativa alle conseguenze di flussi migratori sempre meno tollerati in molti Paesi del continente, in presenza di quello che viene definito “l’inverno demografico” nostrano. Si teme più o meno coscientemente che la cultura, lo stile di vita e anche le ideologie europee siano sotto attacco e che la Russia, sia pure con tutti i difetti inaccettabili del suo sistema statale, possa rappresentare un baluardo di valori secolari. Non ci sembra un caso che Putin abbia offerto protezione e cittadinanza a tutti coloro che rifiutano la legalizzazione dell’omosessualità. Sappiamo bene che in contesti non secondari l’omosessualità è tollerata a denti stretti, se non condannata esplicitamente. E non crediamo sia un caso che il presidente dell’Ungheria Viktor Orban, dopo aver incontrato Giorgia Meloni, l’ha definita la sua “sorella cristiana” come a voler marcare l’opposizione fra Italia e Ungheria e gli altri Stati europei disponibili a inviare nuovi aiuti a Kiev.
Ma forse il vero quesito è: perché una consistente parte dell’elettorato europeo si sposta a destra e in senso filorusso? Probabilmente un’Europa, nata non da un’aspirazione popolare ma da accordi di vertice politici e finanziari, non ha dato abbastanza ai popoli che vi hanno aderito. C’è da chiedersi se la ventata di antieuropeismo ci sarebbe stata se a Bruxelles si fosse deciso di assicurare ad ogni costo cure e medicine gratuite a tutti i cittadini che ne avessero avuto bisogno, senza risparmi e limitazioni ? Oppure se la Ue si fosse dotata di un apparato di sicurezza almeno parzialmente autonomo dalla Nato? Oppure se si fosse assicurata la totale autonomia energetica e alimentare senza dovere ricorrere a importazioni estere costose e pericolose. Insomma, si può dire che i politici europei abbiano fatto abbastanza per assicurarsi la fiducia degli elettori ? Evidentemente si tratta di una domanda retorica.
Ed è interessante notare che i Partiti antieuropeisti abbiano cambiato atteggiamento con un certo tempismo di fronte alla situazione. Sono scomparse tutte le formule che si concludevano con exit, dopo che Londra uscendo dall’Unione, sembra avere registrato risultati non proprio eccezionali. Negli ultimi tempi gli ex antieuropeisti prefigurano un’altra Europa, non una dissoluzione dell’Unione, un’Europa più attenta all’opinione pubblica, un’Europa in cui preoccuparsi per un’immigrazione massiccia non sia considerata un atteggiamento di intolleranza e in cui tradizioni millenarie proprie non vengano messe in discussione da un’illuministica visione delle relazioni fra i popoli, pesantemente influenzata da un passato colonialistico
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