Una sfida senza precedenti

di Marco Corno

Il confronto tra Cina e USA è ormai sempre più apodittico. La guerra commerciale iniziata con l’imposizione di dazi commerciali da parte di Trump sull’esportazione dell’Impero di Mezzo apre una nuova fase della storia mondiale mantenendo il “Pivot to Asia” inaugurato dall’amministrazione Obama. Fare previsioni circa lo sviluppo di questa nuova rivalità è molto difficile perché mancano elementi storici in grado di offrire analisi accurate poiché mai nella storia si è assistito ad un confronto diretto tra Pechino e Washington. Analizzando il passato, emerge immediatamente come il contatto tra occidente e oriente abbia cambiato nunc et semper l’evoluzione dell’Ordine Internazionale, ad esempio l’apertura economica e sociale del Giappone nel 1861 da parte degli USA rese la nazione nipponica la prima grande potenza asiatica mettendo in discussione la superiorità del mondo occidentale su quello orientale, durante la guerra russo-nipponica del 1904-05 quando il Giappone distrusse tutta la flotta baltica della Russia impartendo una dura sconfitta allo zar segnando la prima vittoria di uno stato asiatico su uno europeo, in particolare il fardello dell’uomo bianco secondo cui l’uomo europeo, forte della sua superiorità, abbia il destino manifesto di civilizzare il mondo ex cathedra con il suo colonialismo. Altro evento di grande rilevanza è stata l’invasione nipponica della Manciuria (1931) prima di una serie di crisi internazionali che portarono alla Seconda Guerra Mondiale anche nel Pacifico tra Giappone e USA, dopo l’attacco aero nipponico di Pearl Harbour nel 1941, la cui conclusione nel 1945 creò un ordine geopolitico regionale ancora vigente al giorno d’oggi. Gli eventi tra Asia e Occidente influenzarono anche la storia della guerra fredda specialmente l’apertura di Nixon-Kissinger alla Cina nel 1972 in funzione anti-sovietica.
In nuce l’incontro tra l’occidente e l’oriente ha creato effetti di grande portata ed è difficile credere che la sfida tra Cina e USA non avrà altrettanti effetti se non superiori.
La Cina è determinata più che mai a diventare una super potenza per riscattare il glorioso Impero Celeste dal secolo dell’umiliazione (1842-1949), trasformando il fardello dell’uomo bianco nel fardello dell’uomo giallo sinonimo per gli occidentali di “pericolo giallo”, epiteto attribuito ai Giapponese tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo.
Le sfide che l’Impero Celeste pone agli USA toccano tutti i capi da quelli economici, ideologici-politici fino al campo geopolitico e militare.
Partendo dal campo economico- politico, la Cina tramite l’apertura al mercato voluto da Deng Xiaoping negli anni’80 del secolo scorso ha creato un nuovo tipo di capitalismo, risultato della mistione tra ideologia comunista e libero mercato, nominato capitalismo statalizzato che si contrappone al capitalismo occidentale di libero mercato. Il modello cinese ha dimostrato un’efficienza senza precedenti nella costruzione di grandi opere pubbliche, nel consolidamento di una forte classe media (nonostante il rapporto clientelare con lo stato) grazie anche ai vetusti principi confuciani, fonti di coesione della società cinese, nonché un’inopinata costanza nella crescita economica nazionale. A tale struttura dell’economia si collega anche il rapporto tra politica ed economia. A differenza degli USA, che chiedono ai regimi dei paesi in cui investono anche riforme interne volte alla tutela dei diritti umani, l’eclettismo cinese separa sic et simpliciter l’economia dalla politica chiedendo ai propri “stati clienti” solamente la tutela dei reciproci interessi economici, rendendosi così più “appetibili” ai governi del Terzo Mondo consci che le riforme democratiche non solo rischiano di creare instabilità interne ma anche ingerenze di potere da parte delle potenze occidentali. Di conseguenza si spiega perché l’Impero Celeste si stia espandendo così velocemente in molti paesi dell’Africa sub sahariana a discapito di ex potenze coloniali come Francia, Belgio e degli stessi USA che continuano a perdere terreno. I Leoni Africani ovvero Nigeria, Zambia, Etiopia, Repubblica Democratica del Congo, Ghana, Angola e Zimbabwe sono considerati non solo supplier di fonti primarie, di cui Pechino ha bisogno, ma anche una “valvola” di sfogo del grande surplus produttivo delle industrie metallurgiche e siderurgiche cinesi.
Dal punto di vista geopolitico, il nuovo progetto inaugurato dal presidente Xi Jinping nel 2013 delle nuove via della seta One Belt One Road conosciuto anche come Belt Road Initiative (BRI) segna una svolta geopolitica per l’ex impero. Prima del 1842, la Cina ha avuto sempre una vocazione continentale dato che le minacce all’Impero venivano sempre da nord mentre l’epoca della colonizzazione europea della zona costiera, iniziata con la prima e la seconda guerra dell’Oppio (1839-1842, 1856-1860), ha progressivamente trasformato la tendenza strategica da continentale in marittima poiché le sfide all’Impero di Mezzo provenivano dall’Oceano Pacifico e non più dall’entroterra euroasiatico. Infatti, al giorno d’oggi le nuove vie della seta sono sia un grande progetto infrastrutturale continentale (One Belt) sia un progetto di nuove vie commerciali marittime (One Road) ma mentre le prime possono essere considerate un piano geoeconomico, le seconde sono anche un progetto geopolitico che potrebbe stravolgere l’ordine americano post 1945 nella regione. Washington è sempre più preoccupata della deminutio della propria egemonia regionale, il neo-protezionismo dell’amministrazione Trump si confronta con le ambizioni del Deep State americano favorevole ad un nuovo isolamento ma solo dopo aver eliminato tutti i nemici della “democrazia americana” secondo la logica si vis pacem para bellum. La crisi nucleare della penisola coreana sembra finalmente arrivata ad un punto di svolta con l’apertura diplomatica della Corea del Nord alla Corea del Sud culminato con lo storico incontro tra Kim Jong-un e Moon Jae-in al 38esimo parallelo a cui ha fatto seguito il 12 giugno la firma dello storico accordo di pace tra Pyongyang e Washington. Tuttavia, è futile illudersi che le tensioni finiscano soltanto grazie all’ambizione del presidente americano di ottenere il premio Nobel per la pace. La querelle nucleare necessitava di essere risolta con la diplomazia poiché qualsiasi altro tentativo si sarebbe tradotto in un possibile ecatombe nucleare che avrebbe coinvolto in primis i coreani e i giapponesi e in seconda battuta sia Pechino che Washington, le cui catastrofiche conseguenze avrebbero generato effetti imprevedibili a livello mondiale.
Gli apparati di stato americani sono infatti ossessionati dalla One Road ossia le vie della seta marittime poiché potrebbero indebolire il sea-control americano nella regione, se non addirittura distruggerlo, qualora Pechino dovesse prendere il controllo delle rotte marittime del Pacifico (da cui passano i principali flussi commerciali della Cina con il mondo) attualmente sotto controllo statunitense. Di conseguenza la crush-zone si sposterà dalla penisola coreana al Mar Cinese Meridionale e la politica del roll-back americano si focalizzerà non solo sulle tensioni regionali per il controllo delle isole Senkaku e Paracelso ma anche sulla “questione delle due Cine” ancora lontana dall’essere risolta.
La Cina negli ultimi anni ha avviato un progressivo piano di isolamento dell’Isola di Formosa sia a livello diplomatico che economico ponendo le basi per una sua possibile annessione. Nel caso succedesse, Taipei diventerebbe il perno per la proiezione strategica della Cina in tutta la regione abbattendo la pré- carré statunitense. Di fronte ad un presunto attacco nei confronti di Taipei tramite forze anfibie, molto temute sia da Formosa che da Washington, gli USA potrebbero approfittare della situazione per installare basi missilistiche a corto-medio raggio a Taiwan facendo dell’isola la “Cuba del Pacifico”.
In questa prospettiva la sfida tra Cina e USA è anche militare. I grandi progressi militari cinesi hanno incominciato a preoccupare Washington dal 2007 quando è stato lanciato un missile intercontinentale che ha raggiunto un satellite cinese allarmando l’intelligence americano circa la possibilità che l’Impero di Mezzo stesse sviluppando armi per il controllo del cyberspazio. Infatti, la strategia militare della Cina è asimmetrica ovvero, consapevole di non poter sfidare l’America face to face, sviluppa disruptive technologies che le consentono di creare armi di soft power in grado di bloccare o aggirare l’hard power americano. È chiaro quindi che la Cina ambisce ad un nuovo tipo di guerra detto smartpower (Hard Power +Soft power) dove l’elemento soft diventerà sempre più prevalente rispetto all’hard e sarà la capacità di combinare nel modo più efficiente possibile questi due elementi che decreterà la vittoria di una potenza piuttosto che di un’altra.
Se fino a qualche anno fa si decantava il peaceful rise cinese e l’armonia tra Cina e America soprannominata Chimerica adesso l’acta est fabula. Molto probabilmente si assisterà allo scoppio, all’inizio, di una guerra commerciale tra le due nazioni che potrebbe degenerare in una proxy war in alcune Shatterbelt dell’Indocina e dell’Indonesia. Il rischio che ciò evolva in un’escalation diretta tra i due big è probabile soprattutto se si considera il fatto che la Cina nel 2025 riuscirà a pareggiare il suo potere militare con il suo già imponente potere economico. E’ difficile prevedere se ciò degenererà in una terza guerra mondiale ma anche se ciò non dovesse accadere il rischio di una guerra regionale dalle conseguenze economiche mondiali è “alle porte” e si può azzardare ad affermare che intorno al 2020 qualcosa accadrà.