Ungheria. Duro colpo del parlamento europeo a Orban: procedura di infrazione e niente Pnrr

di Enrico Oliari

Dopo anni di stoccate di Viktor Orban agli europarlamentari, da lui definiti in passato persino “utili idioti”, questa volta è stato il Parlamento europeo a colpire il premier ungherese, e con un testo non legislativo approvato con 433 voti favorevoli, 123 contrari e 28 astensioni sono stati condannati “i tentativi deliberati e sistematici del governo ungherese” volti a minare i valori europei.
Gli eurodeputati hanno chiesto l’applicazione della procedura prevista all’articolo 7 dello Statuto, per verificare l’adozione in Ungheria dei valori europei, ed alla Commissione di astenersi dall’approvare il PNRR ungherese, di escludere dal finanziamento i programmi di coesione che contribuiscono all’uso improprio dei fondi Ue, nonché di applicare in modo più rigoroso il Regolamento sulle disposizioni comuni e il Regolamento finanziario per contrastare qualsiasi abuso dei fondi Ue per motivi politici.
La querelle tra Orban e Bruxelles va avanti da anni tra leggi che definiscono i migranti “popolazioni aliene” e che proibiscono la “pubblicità” gay (come i gaypride) per tutelare l’infanzia, ma anche l’assunzione da parte del premier dei “pieni poteri” durante la pandemia, usati per cassare l’adozione della Convezione di Istanbul per la lotta alla violenza sulle donne approvata un mese prima dal Parlamento ungherese; poi vi sono le controverse barriere anti migranti, la gestione oligarchica del potere, il rifiuto di accogliere i richiedenti asilo, i veti posti sul Recovery Fund nelle sedi europee, le sempre più pesanti limitazioni delle libertà individuali e di stampa e persino una “Legge Schiavitù”, abrogata poi dalla Corte costituzionale ungherese ma rimasta in vigore per quasi due anni e mezzo, la quale prevedeva l’innalzamento del monte ore degli straordinari a 400 ore l’anno, consentendo alle imprese di ritardarne il pagamento fino a un massimo di 3 anni. Ultimo, fresco di due giorni, un decreto del ministero dell’Interno che obbliga le donne ad ascoltare il battito cardiaco del feto prima di abortire.
L’Ungheria di Viktor Orban è insomma filoeuropea solo quando si tratta di prendere soldi, poi per il resto fa come le pare. E nell’agosto dello scorso anno il ministro delle Finanze Mihaly Varga lo ha pure detto sfacciatamente minacciando l’”Ungherexit”, ovviamente dopo aver arraffato quanto più si può arraffare. Per Varga l’eventuale “Ungerexit” potrebbe essere dopo il 2030, “quando prevediamo di diventare contributori netti dell’Unione Europea”.
Perché fino ad oggi, ed anche fino al 2030, le cose stanno in modo ben diverso: nel periodo 2014-2020 l’Ungheria ha ricevuto dall’Unione Europea complessivamente 34,3 miliardi di euro: 21 miliardi dal Fondo di coesione, dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Rurale e dal Fondo sociale Europeo; 8,9 miliardi dai finanziamenti diretti a favore dell’agricoltura, 3,4 miliardi di euro dal Fondo Europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale (FEASR) e circa 1 miliardo di euro da altri fondi. I soldi dei contribuenti europei rappresentano una buona fetta delle entrate dell’Ungheria, e di uscire dalla Casa comune prima di allora Varga non ne ha parlato.
Il Parlamento europeo ha pure “deplorato l’incapacità del Consiglio di compiere progressi significativi per contrastare l’arretramento democratico e sottolinea come l’articolo 7, paragrafo 1 non richieda l’unanimità degli Stati membri per identificare un chiaro rischio di grave violazione dei valori Ue né per formulare raccomandazioni e scadenze precise. Secondo gli eurodeputati, qualsiasi ulteriore ritardo equivarrebbe a una violazione del principio dello Stato di diritto da parte del Consiglio stesso”.
Gli eurodeputati hanno ravvisato che “Quattro anni dopo la relazione che ha dato il via al processo dell’articolo 7, diverse aree politiche riguardanti la democrazia e i diritti fondamentali in Ungheria continuano a destare preoccupazione: il funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, l’indipendenza della magistratura, la corruzione e i conflitti di interesse e la libertà di espressione, compreso il pluralismo dei media. Altre aree che destano preoccupazione sono la libertà accademica, la libertà di religione, la libertà di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle persone LGBTIQ, i diritti delle minoranze, dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati”.
La relatrice Gwendoline Delbos-Corfield (Verdi/ALE, FR) ha dichiarato che “Le conclusioni di questa relazione sono chiare e irrevocabili: l’Ungheria non è una democrazia. Era più che mai urgente che il Parlamento prendesse questa posizione, considerando il ritmo allarmante con cui lo Stato di diritto sta arretrando in Ungheria. Oltre a riconoscere la strategia autocratica di Fidesz, l’ampia maggioranza dei deputati che sostiene questa posizione al Parlamento europeo non ha precedenti. Ciò dovrebbe essere un campanello d’allarme per il Consiglio e la Commissione”.