Usa. Blinken di fronte al giudizio del Congresso

di Alberto Guidi

Quattro ore di domande serrate per il segretario di Stato Usa Antony Blinken, ieri e oggi, chiamato a rispondere in Campidoglio alle commissioni per gli Affari esteri di Camera e Senato, per il caotico ritiro dall’Afghanistan. Tra prevedibili rimandi alla Cina (“ci avrebbe voluti distratti lì per un altro decennio”) e i rimpalli di responsabilità con la presidenza Trump (“abbiamo ereditato una scadenza, non un piano”), spicca l’ammessa incapacità di prevedere la rapidità dell’azione di riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani: “anche le analisi più pessimistiche non prevedevano il crollo imminente di Kabul”. Blinken ha anche annunciato ulteriori 64 milioni di dollari in aiuti agli afgani, che sommati a quanto concordato ieri a Ginevra dai rappresentanti di circa 40 paesi nell’assemblea dei donatori ONU, porta il totale delle donazioni della comunità internazionale all’Afghanistan per il 2021 a 1,2 miliardi di dollari. Due volte tanto quanto richiesto dall’ONU per scongiurare una carestia che avrebbe colpito circa un terzo della popolazione afghana entro fine anno. I finanziamenti saranno gestiti solamente dalle Nazioni Unite per evitare di dare legittimità e risorse al governo talebano. Tuttavia con il regime bisognerà prima o poi scendere a patti, data la sua facoltà di chiudere tutti i programmi ONU nel paese qualora non ottenesse ciò che vuole.
E di soldi i talebani ne hanno bisogno considerando come all’indomani della conquista di Kabul, governi occidentali e istituzioni internazionali hanno sospeso gli aiuti umanitari, che per anni hanno rappresentato poco meno della metà del PIL afghano, per un totale di 70 miliardi di dollari in aiuti allo sviluppo ricevuti negli ultimi due decenni. Da questi fondi dipendeva il sostentamento di quasi 18 milioni di afghani, la metà della popolazione del paese, ora più che mai a rischio di povertà estrema anche considerando la grande siccità che ha distrutto il 40% del raccolto di grano afghano. I talebani hanno ora accesso allo 0,2% delle riserve internazionali della banca centrale afghana, con circa 9 i miliardi di dollari congelati all’estero, la maggior parte dei quali negli Stati Uniti. Nella speranza dei governi occidentali potrebbero quindi aprire a un maggior rispetto dei diritti umani in cambio di sostegno economico. I segnali in questo senso non sono però incoraggianti: tanto che anche nelle foto ufficiali del nuovo governatore della banca centrale il suo fidato AK-47 appare al suo fianco.