Usa e India: insieme per le terre rare

di C. Alessandro Mauceri –

I media hanno dato grande risalto agli accordi tra Stati Uniti d’America e India. Da molti è stata presentata come una novità sotto il profilo geopolitico, tanto più che, da qualche mese l’India è il Paese più popolato del pianeta. Questo lo rende non solo un mercato appetibile, ma anche una fonte di manodopera a basso costo e di “cervelli”. Eppure potrebbe essere un altro il motivo di tanto interessamento di Biden per Modi (peraltro, politicamente su fronti opposti).
I Paesi sviluppati basano la propria economia sulla produzione. Anzi, in particolare sulla produzione industriale. Ma per funzionare l’industria ha bisogno di una serie di minerali fondamentali: dette terre rare. I più importanti materiali importati sono le “terre rare” (un gruppo di 17 metalli pesanti quasi indistinguibili con proprietà simili) essenziali nel settore delle nanotecnologie, dei magneti ad alta potenza, dell’elettronica e dell’industria. Situazione analoga per la grafite naturale che si trova in batterie agli ioni di litio. Gli Stati Uniti dipendono al 100% dalle importazioni sono arsenico, fluorite, indio, manganese, niobio e tantalio, che vengono utilizzati in una varietà di applicazioni come la produzione di leghe e semiconduttori insieme alla produzione di componenti elettronici come schermi LCD e condensatori. Secondo i dati del US. Geological Survey (USGS), l’America dipende dalle importazioni di 30 diversi minerali chiave non combustibili. Le importazioni di questi minerali rappresentano oltre la metà del consumo del Paese di 51 minerali non combustibili. Ma per alcuni la dipendenza è totale. Fino ad ora gli Stati Uniti d’America sono stati completamente dipendenti dalla Cina per almeno 12 minerali chiave ritenuti critici dal governo. In altre parole, la Cina è la principale (e a volte l’unica) fonte di importazione. Gli Stati Uniti dipendono al 100% dalle importazioni per il gallio e al 50% dal germanio.
Recentemente però le importazioni di alcuni di questi minerali hanno subito un calo dovuto alla decisione del governo cinese di limitare le esportazioni.
Restrizioni che il governo Biden ha visto come una rappresaglia contro le sanzioni statunitensi e dell’Ue contro la Cina che hanno limitato l’esportazione di chip e attrezzature per la produzione di microprocessori. Il punto è che sia il gallio che il germanio sono utilizzati nella produzione di prodotti diffusissimi come transistor e semiconduttori. E anche nell’industria dei pannelli solari. Secondo l’International Energy Association, l’aumento della produzione di energia a basse emissioni di carbonio triplicherà la domanda di minerali come questi entro il 2040.
Oggi la Cina raffina quasi il 90% delle terre rare, ma anche l’India è un grosso produttore. E anche qui la produzione è statale. Leader assoluto del settore è IREL (India) Limited è un’impresa del settore pubblico indiano con sede a Mumbai. Secondo alcuni studi lavorerebbe circa 10mila tonnellate di minerali contenenti terre rare.
Non è un caso se già lo scorso anno si erano svolti alcuni incontri tra gli indiani S. Jaishankar, e Rajnath Singh e gli americani Antony Blinker e Llyod Austin. Obiettivo: la cooperazione sulla resilienza della catena di approvvigionamento, sulla partnership commerciale per le tecnologie critiche ed emergenti, ma soprattutto sull’ottimizzazione dell’estrazione e della lavorazione delle terre rare. Il punto è che, pur disponendo di grandi giacimenti, finora l’India è stata costretta ad importare parte di questi minerali a causa delle scarse conoscenze e tecniche arretrate. Ora, anche grazie agli accordi tra Biden e Modi, la situazione potrebbe cambiare: l’India potrebbe diventare un Paese esportatore. Ovviamente verso gli USA.
Di minerali critici ha parlato anche il “Quad critical and Emerging Technology Working group” il gruppo che prevede di sviluppare la resilienza dell’offerta tra i membri del “Quad”: India, Stati Uniti, Giappone e Australia. Un nuovo accordo con l’India potrebbe essere la risposta degli USA alla Cina. I problemi iniziati dopo la disputa sull’isola Senkaku-Diaoyu Cina-Giappone (2010), seguita da un embargo sulle terre rare imposto dalla Cina non sono mai stati risolti. E l’embargo è considerato una seria minaccia dagli Stati Uniti (e dai suoli alleati: Unione europea e Giappone, entrambi grandi importatori di terre rare). Specie dopo che la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato l’HR 761 che ha dichiarato le terre rare “essenziali” per la crescita economica e la sicurezza nazionale.