Usa. Trump: si scrive Corea del Nord, si legge Cina

di C. Alessandro Mauceri –

Da settimane, anzi da mesi, l’attenzione dei media non è più rivolta all’Isis, alla Siria e allo Yemen: come d’incanto si è spostata sulla Corea del Nord. Anche ieri, durante il suo intervento alle Nazioni Unite, il presidente americano Donald Trump ha incentrato il suo discorso sul “dittatore” nordcoreano che ha definito un “Rocket Man” in “missione suicida per il suo regime e per se stesso” (“Rocket Man is on a suicide mission for him and his regime”). Il Tycoon, riferendosi alla Corea del Nord, ha aggiunto che gli Usa devono sconfiggere i “nemici dell’umanità” (“We need to defeat the enemies of humanity and unlock the potential of life itself”).
A ben guardare, però, nel confronto con la Corea del Nord, gli Stati Uniti d’America appaiono non come vincitori ma come perdenti: le accuse che vanno avanti da decenni (dai tempi di Bush senior e del padre dell’attuale capo di stato nordcoreano) sono servite a poco. Così come a poco sono valse le sanzioni deliberate di volta in volta dalle Nazioni Unite. A conti fatti, ad aver vinto è stata la Corea del Nord: ammesso che venga mai organizzato un incontro per trovare un accordo, cosa che i nordcoreani chiedono da tempo, vedendosi ogni volta sbattere la porta in faccia dagli Usa, difficilmente potrebbe essere messo in discussione il disarmo unilaterale degli arsenali nucleari esistenti e al limite si potrebbe trattare una non proliferazione. In altre parole, molto difficilmente un accordo di “pace” potrebbe includere un passo indietro della Corea del Nord e lo smantellamento degli armamenti che in questi anni si sono evoluti fino a raggiungere un livello che solo pochi mesi fa era impensabile, come dimostrano i risultati dei test.
Stando così le cose non si capisce l’ostinazione di Trump e dei suoi predecessori verso questo paese. La risposta è nelle affermazioni rilasciate dal segretario del Tesoro americano Steve Mnuchin, che la scorsa settimana ha lanciato pesanti minacce non verso la Corea del Nord ma nei confronti della Cina. Un attacco incentrato non sull’uso della forza militare (Trump e il suo staff se ne guardano bene), ma finanziario: Mnuchin ha minacciato il congelamento dei conti, sanzioni e l’inserimento di persone e società in una black list se la Cina non condannerà apertamente e romperà i ponti con la Corea del Nord. “Se la Cina non segue queste sanzioni, metteremo sanzioni supplementari e impediremo loro di accedere al sistema degli Stati Uniti e del dollaro internazionale, e questo è abbastanza significativo”, ha detto Mnuchin alla conferenza Delivering Alpha di CNBC a New York.
“La situazione è problematica, poiché la Cina ha rispettato tutte le sanzioni delle Nazioni Unite nei confronti della Corea del Nord”, ha dichiarato Weiwen, del Centro per la Cina e la globalizzazione a Pechino, che ha definito le dichiarazioni di Mnuchin “bluff puro”.
Il rischio maggiore è il veto totale ai pagamenti in dollari statunitensi delle transazioni cinesi. Un pericolo ben più grave di quello di una bomba nucleare dato che, ancora oggi, il dollaro statunitense rappresenta il 60% delle riserve mondiali. Nonostante i cambiamenti imposti dai paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e SudAfrica) circa l’80% dei pagamenti globali e quasi il 100% delle vendite mondiali di petrolio avvengono ancora in dollari. Chiudere le transazioni internazionali in dollari statunitensi significherebbe fare un danno enorme a quei paesi, come la Cina (ma anche l’India), che basano la propria economia in crescita sulla vendita a paesi che pagano in dollari, primi fra tutti Usa ed Europa.
La riprova che la questione riguarda paesi come Cina e Russia e non la Corea del Nord viene dall’intervento del assistente del segretario del ministero del Tesoro Marshall Billingslea, il quale ha detto che i rappresentanti delle banche nordcoreane “operano in Russia in flagrante disattenzione delle risoluzioni adottate dalla Russia alle Nazioni Unite”.
Una guerra dietro le quinte (ma neanche tanto) quella tra Usa e Cina e alleati, che sta assumendo ogni giorno che passa toni sempre più caldi.
A goderne, per strano che possa sembrare, è proprio la Corea del Nord e il suo “dittatore” che in barba al tono vignettistico con cui viene presentato e attaccato (lo stesso Trump lo ha fatto ieri alle Nazioni Unite) sta rafforzando il suo potere e sta raggiungendo traguardi impensabili. E non solo in termini di potenziale bellico, ma anche dal punto di vista economico: in barba alle sanzioni, lo scorso anno la Corea del nord ha raggiunto la migliore performance in termini di crescita del prodotto interno lordo dal 1999 (dati Banca centrale della Corea del Sud). L’anno scorso Pyongyang ha aumentato il proprio PIL del 3,9% rispetto all’anno precedente. In barba alle sanzioni e delle limitazioni imposte dalle Nazioni Unite, agricoltura e pesca sono aumentate del 2,5%, l’estrazione di zinco, piombo e carbone hanno fatto registrare un +8,4%, la chimica pesante è aumentata del +6,7% e il settore manifatturiero ha avuto un incremento anno del 4,8%. Anche l’industria energetica è aumentata: addirittura del 22,3%. Non male per un paese piccolo e chiuso in se stesso. Nonostante una bilancia commerciale negativa (importa più di quanto esporta: 3,7 miliardi e 2,8 miliardi), anche l’interscambio commerciale è aumentato (del 4,7%). Merito della Cina al tempo stesso principale cliente e fornitore della Corea del Nord. “Per capire davvero quello che sta succedendo, bisogna cambiare atteggiamento. Soprattutto i giornalisti dovrebbero smettere di dipingere la Corea del Nord in maniera macchiettistica”, ha detto Antonio Fiori docente all’Università di Bologna e professore aggiunto presso la Korea University di Seoul dopo essere stato convocato a Montecitorio con altri esperti proprio per discutere del problema “Nord Corea”.
Ma la situazione potrebbe cambiare. La Banca Popolare della Cina ha affermato questa settimana di aver ordinato alle banche nazionali di sospendere l’apertura o la modifica dei conti dei clienti nell’elenco delle sanzioni delle Nazioni Unite e ha anche proibito altri servizi finanziari per quei clienti.
Tra poche settimane sarà possibile comprendere cosa sono disposti a mettere sul piatto della bilancia i due contendenti, Usa e Cina (non Corea del Nord): a novembre Trump dovrebbe recarsi in Cina. Un incontro per il quale il consigliere statale cinese Yang Jiechi ha detto che la Cina si attende risultati “positivi” aumentando gli sforzi per la cooperazione e per gestire le differenze.