Voto europeo o voto nazionale?

di Giovanni Ciprotti –

Due giorni fa ricorreva la Festa dell’Europa, istituita nel 1985 per ricordare il 9 maggio 1950, quando il ministro degli esteri francese Robert Schuman presentò un piano per una prima forma di cooperazione tra alcuni paesi europei. Una festa che non ha mai entusiasmato i cittadini e si traduce solitamente in qualche manifestazione pubblica per l’abituale passerella delle autorità o qualche conferenza per gli “addetti ai lavori”: economisti, politologi o storici.
In un editoriale del 6 maggio scorso, il politologo Angelo Panebianco scriveva: “è un fatto che, per la prima volta, l’Europa avrà qualcosa a che fare con le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo: una parte almeno dei cittadini europei voterà pensando all’Unione, sceglierà un partito o l’altro in funzione dei suoi orientamenti in materia di integrazione europea”.
Può darsi che abbia ragione il professor Panebianco. O almeno che ciò accada in altri Paesi europei.
In Italia la situazione percepita è un po’ diversa.
Poche le iniziative nelle scuole per sviluppare nelle giovani generazioni il senso di appartenenza all’Unione europea. Tra la gente comune il dibattito sui temi europei è pressoché inesistente, se si escludono gli incontri di calcio della Champions o della Europa League.
La campagna elettorale in Italia è polarizzata, come sempre è accaduto, da temi di politica interna – corruzione, mafia e disoccupazione – e le soluzioni prospettate dalle forze politiche non hanno mai un respiro europeo o un collegamento con iniziative a livello continentale. Anche il tema dell’immigrazione, drammaticamente d’attualità sia per il perdurare dei conflitti che insanguinano molte regioni del Sud del mondo sia per il miglioramento delle condizioni meteorologiche, viene presentato dall’attuale maggioranza al governo come un problema prevalentemente di sicurezza nazionale.
I due vice-Presidenti del Consiglio si stanno fronteggiando da mesi, quasi fossero avversari e non alleati, e entrambi sperano in un voto favorevole il prossimo 26 maggio per incrementare il proprio peso nella compagine governativa. Un voto europeo ad uso e consumo del consolidamento interno. Sarà per questo forse che né Lega né M5S parlano dei loro propositi per l’Europa, a parte le iniziative mediaticamente amplificate di Matteo Salvini per cercare di costruire il cosiddetto fronte dei “sovranisti”, un termine che appare nuovo ma che ha sostituito quello che fino a pochi anni fa era “euroscettici”.
Le forze europeiste si dichiarano favorevoli a una maggiore integrazione, quelle euroscettiche (o sovraniste se si preferisce) vorrebbero restituire agli stati nazionali una parte della sovranità che nel tempo è stata trasferita all’Unione, ma in entrambi i casi nessuno schieramento presenta proposte chiare e comprensibili su come intende procedere, si tratti di rafforzare o alleggerire il vincolo tra gli stati membri.
Su cosa voteranno quindi i cittadini italiani, storicamente disinteressati dei temi di respiro europeo e bersagliati dai messaggi dei partiti, di maggioranza e di opposizione, esclusivamente dedicati a questioni di politica interna?
Sarà l’ennesima prova generale per le prossime elezioni politiche. L’ennesimo “costoso sondaggio”, per riprendere le parole del professor Panebianco, per una ridefinizione del peso dei diversi partiti nazionali.