di Giuseppe Gagliano –
Il conflitto latente tra Israele e i ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran, sta degenerando in una crisi che potrebbe travolgere l’intero Medio Oriente. Mentre l’attenzione globale resta focalizzata su Gaza, un altro fronte di guerra si sta aprendo, con rischi devastanti per la stabilità regionale e per milioni di civili già allo stremo.
I fatti parlano chiaro: Israele sta preparando una serie di attacchi massicci contro lo Yemen, puntando ai porti strategici di Ras Isa, Hodeidah e As-Salif, controllati dagli Houthi. Questi porti sono vitali: gestiscono il 70% delle importazioni umanitarie del paese, essenziali per cibo, carburante e aiuti medici in uno Yemen devastato da un decennio di guerra civile. Le autorità israeliane hanno ordinato alla popolazione civile di evacuare immediatamente le aree portuarie, un segnale chiaro di imminenti bombardamenti. Ma in un paese dove 24 milioni di persone, l’80% della popolazione, dipendono dagli aiuti umanitari, evacuare è un’illusione. Il rischio è una catastrofe: se i porti saranno distrutti, la fame diventerà un’arma letale quanto le bombe.
Come si è arrivati a questo punto? Tutto comincia il 6 maggio 2025, quando un missile Houthi cade vicino all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Nessuna vittima, ma il gesto è simbolico: per la prima volta, i ribelli yemeniti colpiscono direttamente il territorio israeliano, abbandonando la loro strategia di attacchi ai mercantili nel Mar Rosso e nello stretto di Bab el-Mandeb. Israele non può lasciar correre: poche ore dopo, l’aviazione bombarda l’aeroporto internazionale di Sanaa, capitale yemenita sotto controllo Houthi, aprendo un nuovo fronte militare. Da allora, la tensione è alle stelle, e siamo a un passo da un’escalation che potrebbe cambiare gli equilibri della regione.
A complicare le cose c’è il ritiro tattico degli Stati Uniti. Washington, che per anni ha colpito gli Houthi al fianco dell’Arabia Saudita, ha sospeso le operazioni militari, ottenendo in cambio la garanzia che i ribelli non attacchino più navi americane. Una mossa che lascia Israele da solo a gestire un conflitto asimmetrico contro una milizia ben armata, addestrata e finanziata dall’Iran, parte dell’“Asse della Resistenza” che include Hezbollah e milizie sciite irachene. Senza il supporto americano, Israele si trova su un terreno insidioso, privo di una coalizione internazionale o di una copertura diplomatica solida. Una scelta che potrebbe rivelarsi un boomerang.
Poi c’è l’Iran, il grande burattinaio. Teheran, principale sponsor degli Houthi, per ora tace, ma il suo silenzio è strategico. Se Israele colpisse duramente lo Yemen, una rappresaglia iraniana, diretta o tramite alleati come il Hezbollah, sarebbe quasi inevitabile. A quel punto, il conflitto si allargherebbe, coinvolgendo Libano, Iraq, Siria e forse l’Arabia Saudita, già in lotta con gli Houthi da anni. Gli analisti militari prevedono che Israele voglia distruggere le infrastrutture logistiche e balistiche degli Houthi per neutralizzarne la minaccia, ma il prezzo potrebbe essere altissimo: un’escalation regionale su più fronti.
Il dramma più grande, però, è quello dei civili yemeniti. I porti di Hodeidah, Ras Isa e As-Salif sono la loro ancora di salvezza. Se venissero paralizzati, milioni di persone, già stremate da fame, malattie e sfollamenti, precipiterebbero in una crisi ancora più grave. L’Onu chiede moderazione, ma la diplomazia è impotente: Washington si è ritirata, Teheran aspetta, Tel Aviv accelera, e il Consiglio di Sicurezza, diviso, non riesce a intervenire. Lo Yemen, spesso dimenticato, rischia di diventare l’epicentro di un conflitto globale.
In fondo ciò che accade in Yemen è un frammento di una guerra più ampia tra Israele e l’Asse della Resistenza, un intreccio di alleanze e rivalità regionali. Gli Houthi sono una pedina dell’Iran, che proietta la sua influenza a distanza, mentre Israele non può permettersi di mostrarsi debole. Ma se le bombe cadranno su Hodeidah o As-Salif, a crollare non saranno solo i porti: sarà l’equilibrio della regione, trascinando con sé milioni di vite. Una storia che si ripete, con i civili a pagare il prezzo delle partite dei potenti.