di Giuseppe Gagliano –
L’Arabia Saudita, con il suo pacchetto di aiuti da 500 milioni di dollari al governo yemenita internazionalmente riconosciuto, conferma il proprio ruolo di attore centrale nel contesto geopolitico della Penisola Arabica e del Golfo. Questo intervento economico, che si inserisce in un programma di assistenza più ampio da 1,2 miliardi di dollari, è strategicamente progettato per consolidare l’alleanza con le autorità di Aden e contrastare l’influenza dei ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran.
Da un lato il deposito di 300 milioni presso la Banca Centrale dello Yemen e i 200 milioni destinati a colmare il deficit di bilancio mirano a stabilizzare la fragile economia del Paese, garantendo al governo yemenita una capacità operativa minima, come il pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici. Questo, in un contesto in cui la moneta locale ha subito un deprezzamento drammatico, assume una valenza sia economica che simbolica, mostrando la capacità saudita di agire come garante della stabilità nella regione.
Dall’altro lato il conflitto economico con gli Houthi rappresenta un campo di battaglia parallelo alla guerra militare iniziata nel 2015. Mentre gli Houthi consolidano il controllo sul nord, sulla capitale Sanaa e sul porto strategico di Hodeidah, la coalizione saudita cerca di rafforzare la governance nelle regioni meridionali e orientali, con Aden come capitale provvisoria. L’allocazione di risorse alla riabilitazione delle infrastrutture e al funzionamento di servizi essenziali come energia, sanità e agricoltura è una risposta diretta alla strategia degli Houthi, che si basa sul sabotaggio economico e sul blocco delle risorse.
La portata umanitaria dell’intervento saudita, sebbene enfatizzata nei comunicati ufficiali, deve essere valutata nel contesto di una crisi che l’ONU ha definito come la “più grande emergenza umanitaria del mondo”. Con oltre 377mila morti alla fine del 2021, lo Yemen rimane un terreno devastato da una combinazione di conflitti armati, collasso economico e catastrofi umanitarie. In questo quadro, i progetti di sviluppo implementati dal Programma Saudita per lo Sviluppo e la Ricostruzione dello Yemen (SDRPY) rappresentano un tentativo di bilanciare l’azione militare con iniziative di soft power volte a guadagnare il consenso della popolazione locale.
Tuttavia l’Arabia Saudita si trova ad affrontare una partita geopolitica complessa, dove la rivalità con l’Iran si mescola alle tensioni interne alla coalizione governativa yemenita e alla crescente pressione internazionale per una soluzione negoziata. A dieci anni dalla presa del potere degli Houthi a Sanaa, il conflitto in Yemen è ben lontano dall’essere risolto, con una polarizzazione sempre più marcata tra le aree settentrionali, sotto il controllo dei ribelli, e quelle meridionali, nominalmente amministrate dal governo riconosciuto. In tale contesto, il sostegno saudita al governo di Aden non è solo un investimento economico, ma una manovra geopolitica per mantenere l’equilibrio di potere nella regione e contenere le ambizioni iraniane.
In definitiva l’intervento saudita nello Yemen non è privo di contraddizioni. Mentre mira a stabilizzare un governo fragile, perpetua uno status quo che non offre soluzioni durature al conflitto. La capacità dell’Arabia Saudita di trasformare il suo peso economico in una leva politica efficace sarà cruciale per determinare il futuro dello Yemen e, più in generale, gli equilibri strategici del Medio Oriente.