Zelensky sotto attacco. Ma questa volta è il fuoco amico

di Enrico Oliari

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato investito dal fuoco amico dopo un’intervista rilascata al The Post, in cui spiegava la decisione di minimizzare la minaccia di un’invasione russa per non gettare il paese nel caos e non rischiare il tracollo economico.
Al prestigioso giornale statunitense Zelenky ha spiegato che “Se lo avessimo comunicato… allora avrei perso 7 miliardi di dollari al mese dallo scorso ottobre, e nel momento in cui i russi hanno attaccato, ci avrebbero preso in tre giorni”, da qui la scelta di non dare alla popolazione il dovuto allarme.
Tuttavia agli ucraini la giustificazione del presidente, fino ad oggi portato in palmo di mano, non è andata giù, e i numerosi commenti di analisti, accademici, imprenditori e gente comune sui social sono stati tutt’altro che accomodanti, riassumibili nella denuncia secondo cui se Zelensky avesse informato il popolo dei rapporti della Cia e di altre intelligence invece di pensare all’economica, si sarebbe conosciuto il pericolo immediato e si sarebbero salvate molte vite.
Il Washington Post ha riportato la posizione di Sevgil Musaieva, caporedattore di Ukrainska Pravda, il quale ha affermato che non si è data la possibilità di valutare la “spesa di 7 miliardi di dollari al mese rispetto alle vite perse, alla rapida conquista da parte della Russia di parti dell’Ucraina meridionale e alla paura e all’intimidazione dei civili che inaspettatamente si sono trovati sotto l’occupazione russa”. Più duro il giornalista il giornalista Bohdan Butkevich, che su Facebook ha scritto, riferendosi all’aggressione russa e al mancato avviso di Zelensky: “Come può una persona che ha sulla coscienza Mariupol, Bucha e Kherson dire che un’evacuazione avrebbe travolto il Paese?”. Ha poi aggiunto che “Non voleva mettere il paese su un piano militare perché aveva paura di perdere il potere”.
Ci è andata giù pesante anche l’autrice ucraina Kateryna Babkina, per la quale la mancanza di allerta dei civili che vivono nelle aree minacciate, e in particolare di quelli con bambini, anziani e persone con mobilità ridotta, “non è stato un errore, non uno sfortunato malinteso, non un errore di calcolo strategico: è un crimine”.
Ovviamente c’è chi difende Zelensky, ma in sempre più si chiedono dopo mesi di guerra e devastazione i motivi della mancanza di un’azione diplomatica preventiva, fatto di cui è responsabile la leadership ucraina. Ad esempio uno dei motivi che i russi mettono fra le principali motivazioni dell’aggressione è la tutela della minoranza russa nel Donbass: com’era successo con i fascisti in Alto Adige, gli ucraini hanno chiuso i giornali e le scuole in lingua russa, e proibito l’uso del russo negli atti pubblici, un comportamento in antitesi a quanto sottoscritto dall’Ucraina nel protocollo di Minsk-2, il quale prevedeva all’articolo 11 il riconoscimento entro il 2015 delle autonomie del Donbass nonché la tutela della lingua e della minoranza russa.
Al fine di vincere, con la forza, la reazione anche violenta dei filorussi, nel Donbass sono stati mandati a combattere gruppi di paramilitari dichiaratamente neonazisti, come nel caso del Battaglone Azov, poi semi-istituzionalizzato nonostante i gravi crimini denunciati dall’Osce e la buona componente di foreig fighters europei: non a caso la Russia ha messo tra le motivazioni dell’attacco la “denazificazione” dell’Ucraina. E, si intende, non è che tra i russi non vi siano esaltati e accusati di atrocità, si vedano i “Wagner”.
Fino a prima della guerra Zelenky voleva l’Ucraina nella Nato e la Nato in Ucraina, nonostante gli avvertimenti che giungevano anche da membri dell’Alleanza Atlantica (già nel 1997 persino Biden aveva paventato una guerra in caso di allargamento della Nato da quelle parti), proposito di un’annessione a cui ora si è rinunciato, ma che gli ucraini stanno pagando caro.
A Zelensky resta l’Unione Europea, che dal 2014 al 2021 ha dato all’Ucraina 17 miliardi di euro, ufficialmente soldi a un paese extracomunitario per portarlo sulla via della democrazia. Dopo aver finanziato il colpo di stato di Maidan che ha deposto Viktor Yanukovic, non si poteva di certo lasciarla lì, per cui gli europei occidentali ora dovranno sobbarcarsi l’ennesimo paese dall’economia disastrata (anche prima della guerra) e carente di tutto, a cominciare dalle infrastrutture, si intende al netto della ricostruzione post bellica.
Gli ucraini cominciano quindi a chiedersi e chiedono al loro presidente che ama mettersi su Vogue nonostante i morti e gli sfollati: ne valeva davvero la pena?