A Roma Diaspore, Cgil, e Uil insieme per l’Argentina: ‘Stop Milei, ora sciopero’

Con la Dire parlano il segretario Cgil Gesmundo e lo "Schindler di Buenos Aires" Calamai.

Agenzia Dire –

“Estamos con vos otros” e, poi, in un giorno di lotta e sciopero: “Vamos a parar”. Voci e solidarietà espresse di fronte alla sede dell’ambasciata dell’Argentina a Roma dagli esponenti di Cgil e Uil, animatori di un presidio di denuncia delle politiche del neo-presidente Javier Milei.
In piazza Esquilino, con bandiere bianco-azzurre e slogan di protesta a caratteri cubitali, ci sono anche attivisti e semplici cittadini originari del Paese latinoamericano. Manifestano a Roma a poche ore dal via delle dimostrazioni in Argentina, convocate dalle confederazione Cgt, Ctat e Ctaa nel giorno del “paro nacional”, lo sciopero contro la “Ley Omnibus”: un decreto firmato da Milei che liberalizza il mercato del lavoro e apre a nuove privatizzazioni.
“In un Paese che vive tante difficoltà e che dovrà affrontare molti problemi sul piano economico, sociale e strutturale bisogna costruire un tavolo di confronto con le parti della rappresentanza sociale” sottolinea Pino Gesmundo, segretario confederale nazionale della Cgil, in un’intervista con l’agenzia Dire. “Penso che escludere il sindacato dei lavoratori sia un grande errore, tra l’altro con una modalità assurda: questo decreto disintermedia tra chi deve governare e chi deve subire le scelte”.
Gesmondo denuncia “scelte liberticide” ed esprime sostegno al “sindacato e al popolo argentino”. A Roma con lui manifesta Enrico Calamai, ex console italiano, detto “lo Schindler di Buenos Aires” per esser riuscito a mettere in salvo negli anni Settanta più di 300 perseguitati dal regime dei colonnelli. “Di fronte a un governo che oggi nega le atrocità commesse allora e che appare anzi deciso a colpire i diritti del lavoro e i diritti umani”, sottolinea l’ex diplomatico, “c’è molta rabbia tra gli argentini in Italia, soprattutto tra coloro che arrivarono esuli nel periodo terribile della dittatura”.
Il riferimento, anche nei cartelli dei manifestanti con la scritta “Argentina non se vende“, è alla “Ley Omnibus”. “Sembra puntare a una progressiva cancellazione dei diritti del lavoro”, denuncia Calamai, “senza alcuna contropartita, brutalmente, in nome del libero mercato e del neo-liberismo, di una mano magica che dovrebbe risollevare l’economia”. Secondo l’ex diplomatico, “il rischio è che invece non si faccia altro che creare ingiustizia, disuguaglianza e fame diffusa”.
Il decreto è stato inviato al Congresso per la conversione in legge questa settimana. Rispetto al testo approvato a dicembre, il numero degli articoli è stato ridotto da 664 a 523. Tra i cambiamenti, chiesti da alcune forze di opposizione, l’eliminazione della compagnia petrolifera Yfp dalla lista delle società da privatizzare. Solo parziali poi le vendite di altri gruppi pubblici, come Nucleoelectrica Argentina, Banco Nacion and Arsat satellite telecommunications: in questi casi, stando al nuovo testo, se sarà approvato, lo Stato dovrà mantenere una quota di controllo.