Bielorussia. Lukashenko pensa alla successione. Ma con calma: intanto continua a comandare

di Massimo Dinola

In attesa di una non meglio definita riforma della Costituizione, che dovrebbe arrivare per il mese di agosto, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha deciso di mettere mano a quella esistente cambiando le regole della sua successione in caso di decesso o altro impedimento.
In questo caso il potere passerebbe immediatamente nelle mani del Consiglio di Sicurezza del Paese e non più, come previsto finora, in quelle del primo ministro, che pure fa parte del medesimo Consiglio.
Il motivo è che un primo ministro potrebbe cedere a eventuali richieste di messa sotto accusa del presidente, della sua famiglia e dei suoi più stretti collaboratori rispetto a un organismo collettivo, come il Consiglio di Sicurezza composto da fedelissimi di Lukashenko.
La maggior parte dei quali, grazie anche ad aggiunte recenti, appartenenti alla casta dei “siloviki”, cioè degli alti funzionari con un passato nei Servizi di informazione e spionaggio e delle Forze Armate. Persone sicure, quindi.
Ma cosa teme esattamente Lukashenko?
Come è noto, il suo regime è sottoposto ormai da quasi 10 mesi (data delle ultime, contestate, elezioni presidenziali) a manifestazioni di protesta da parte della società civile, del mondo del lavoro (in primis le fabbriche), dei giovani in genere, della classe media e dei tecnici. Ma anche di parte dei quadri e dirigenti della burocrazia statale e locale, inquieta sui propri destini al seguito di un presidente sempre meno popolare.
Contro cui Lukashenko ha mobilitato tutte le forme di repressione di cui può disporre: licenziamenti nelle aziende di Stato e amministrazioni, arresti e incarcerazioni arbitrarie, torture in alcuni casi, dissoluzione di molti diritti essenziali nella sfera dell’informazione e delle libertà di riunirsi.
Tagliandosi alle spalle tutte le strade di mediazione con l’opposizione rappresentata ufficialmente a Sviatlana Tsikhanouskaya, che si era presentata contro di lui alle elezioni in sostituzione del marito Sergei Tikhanovsky; questi era stato fatto arrestare dallo stesso Lukashenko, due mesi prima delle consultazioni. Demandando il tutto (incluse le modalità di una sua eventuale successione) a imprecisate modifiche della Costituzione che saranno messe a punto da una Commissione nominata in occasione della cosiddetta “Assemblea del Popolo Bielorusso”, tenutasi in febbraio, e sottoposte alla sua approvazione. L’Assemblea è un organismo simile a una Camera delle Corporazioni che si riunisce ogni 4 o 5 anni.
Negli ultimi mesi il presidente, nelle sue esternazioni e nelle sue mosse, appare sempre più ossessionato dalla possibilità di complotti architettati nei suoi confronti se non di un vero e proprio colpo di Stato, se non addirittura di un assassinio.
Si è anche spinto fino al punto di sconfessare con asprezza il procuratore generale dello Stato, Andrei Shved, colpevole di aver dichiarato che le manifestazioni di opposizione stavano calando di intensità. Fatto tanto più sorprendente in quanto Shved era stato da poco nominato al posto di un predecessore considerato come troppo indeciso nell’attività di repressione.
In parallelo Lukashenko non ha perso l’occasione per dare grande risalto a un presunto attentato nei suoi confronti con annesso tentativo di rapimento dei suoi figli, architettato a suo dire dagli Stati Uniti, in aggiunta a improbabili iniziative di gruppi armati che avrebbero dovuto prendere il potere giungendo a Minsk dalla Lituania, a bordo di Suv armati di mitragliatrici. Per non parlare dei generici rischi di un’invasione organizzata dalle potenze occidentali.
Le minacce reali sono però diverse. La Russia e il presidente Vladimir Putin, che esteriormente appoggiano in modo incondizionato Lukashenko, in realtà preferirebbero “guidare” il processo di successione di un personaggio sempre più scomodo, senza però turbare gli equilibri esistenti. Tenuto conto del fatto che Mosca e Minsk sono legate da una “Unione Statale” mirata a promuovere una massima integrazione sul piano economico e militare.
Questa ”Unione” per la verità non sembra molto popolare presso la popolazione e buona parte della stessa classe dirigente bielorussa che rivendicano in prevalenza la propria “sovranità”. Termine quest’ultimo evocato ambiguamente e a tappe alterne dallo stesso Lukashenko, quando si trova alla ricerca di consensi. Ma resta il fatto che il legame con la Russia al momento e in mancanza di alternative credibili, appare come l’unico legame stabile.
Peraltro anche Mosca ha i suoi obiettivi che sono in primo luogo evitare che le carte dell’eventuale processo di transizione passino nelle mani dell’attuale opposizione, che comincia a dare segnali di frammentazione al proprio interno oltre che di stanchezza, tenuto conto del peso degli arresti, delle persone che hanno dovuto rifugiarsi all’estero e della mancanza di risultati concreti.
Tsikhanouskaya ha infatti ribadito più volte di voler aprire un negoziato non con Lukashenko in persona, bensì con altri personaggi disponibili che attualmente fanno parte della sua cerchia di potere e ricoprono ruoli politici importanti. Certo, coinvolgendo anche Mosca, ma il tutto con la mediazione esterna di un’organizzazione internazionale (Nazioni Unite, OCSE) o di un paese “neutrale”, non aderente all’Unione Europea. Per fare che cosa? Essenzialmente aprire un “dialogo” tra istituzioni e società civile e avviare un percorso di riforma in senso democratico e di modernizzazione del paese.
E’ una proposta che Mosca non ha alcuna intenzione di prendere in considerazione per due motivi. Il primo è che ritiene qualsiasi mediazione “esterna” come un inaccettabile colpo alla propria leadership politica nell’area dei paesi aderenti alla Confederazione degli Stati indipendenti. E il secondo è che considera il movimento di opposizione sorto in Bielorussia come un veicolo per l’introduzione di valori e modelli politici occidentali indesiderati, caratterizzati da un maggior livello di libertà e democrazia. Con conseguenti rischi (a dire il vero molto ipotetici) di avvicinamento all’Unione Europea, a cui aderiscono paesi molto vicini, anche culturalmente, alla Bielorussia come la Polonia e gli stati baltici.
E’ possibile quindi che la mossa di passare i poteri di “transizione” al Consiglio di Stato sia stata suggerita proprio da Vladimir Putin, il quale probabilmente continua a considerare le modifiche costituzionali bielorusse, incluse quelle che saranno proposte nel mese di agosto dall’apposita Commissione, come la strada più opportuna per uscire da una situazione complessa.
L’altro ostacolo sostanziale che toglie a Lukashenko molti spazi di manovra sono le conseguenze economiche della crisi politico-sociale: inizialmente scioperi, ora soprattutto resistenza passive e fuga di cervelli, incluso il settore del software che è una delle principali filiere esportatrici del paese. Cose che in aggiunta al peso della crisi di Coronavirus e agli effetti di un crescente boicottaggio economico nei confronti del suo Paese da parte dell’Unione Europea che è un importante cliente del Paese, lasciano al presidente ben poche possibilità di “riacquistare” consensi con benefici di diverso genere da distribuire alla popolazione.