Brasile. I 4 motivi del flirt con gli Usa

di Francesco Giappichini

Il riavvicinamento tra Stati Uniti e Brasile, almeno per quanto attiene alle dinamiche dell’emisfero occidentale, ha rappresentato uno tra i pochi risultati concreti della 78ma Assemblea generale delle Nazioni Unite. Una rinnovata sintonia che ha colto di sorpresa alcuni analisti occidentali, che già puntavano il dito contro l’«antiamericanismo na política externa brasileira»: vi era la convinzione che il disallineamento dei sudamericani rispetto al conflitto ucraino, e gli stessi annunci d’imminenti iniziative di de-dollarizzazione, potessero scavare un fossato incolmabile tra le due potenze continentali. Mentre altri rimarcavano la modestia del contributo iniziale al Fundo Amazônia, pari a 50 milioni di dollari, (gli ulteriori 500 milioni, da elargire nei prossimi cinque anni, sono condizionati al via libera e agli umori del Congresso).
E però non è andata così. Intanto, durante l’incontro newyorchese che ha sancito l’approssimazione, i presidenti Joe Biden e Luiz Inácio Lula da Silva hanno esibito atteggiamenti amichevoli, che hanno spesso rotto il protocollo. E poi erano accompagnati da delegazioni al massimo livello. Ad assistere il primo, tra gli altri, la segretaria al Tesoro, Janet Yellen, e l’ex segretario di Stato, John Kerry: l’inviato speciale presidenziale degli Stati Uniti per il clima. Mentre il presidente-operaio era circondato dal suo entourage storico, che con lui ha scritto la storia del Brasile nell’ultimo quarto di secolo. In più l’intesa è stata plasticamente suggellata dall’incontro tra Lula e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky: un bilaterale ai margini dei lavori al Palazzo di vetro, con cui le parti hanno cercato di «rompere il ghiaccio», per usare le parole del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba.
Andiamo però con ordine. Alla base dell’inattesa armonia, emergono quattro punti di convergenza. Il primo è l’intesa sul lavoro. Le parti hanno firmato un documento dedicato alla difesa dei diritti dei lavoratori, che sarà forse generico, ma ha il merito di segnalare la preoccupazione – sul fronte occupazionale – per le transizioni energetica e digitale. In particolare per Biden, che punta alla rielezione, rafforzare l’immagine di leader che difende la dignità dei lavoratori, può essere decisivo. Di qui la sintonia con Lula, che ha lanciato una crociata contro lo sfruttamento di chi presta un lavoro «quasi schiavo» per le piattaforme digitali. Secondo punto, la deriva di Haiti e il caos dell’ordine pubblico.
Washington chiede ai sudamericani – storicamente interessati alle sorti del Paese caraibico – d’intercedere su Pechino, che si ostina a porre il veto su un intervento di polizia internazionale. Una risposta all’appoggio statunitense a Taiwan, affinché anche gli Stati Uniti abbiano a che fare con una fonte d’instabilità nel proprio «cortile di casa». Il terzo motivo di convergenza riguarda la riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, e la volontà della Casa Bianca di scardinare antichi equilibri, e di diluire il potere della Cina: poiché Biden si è di recente impegnato a sostenere la candidatura dell’India per un seggio permanente, molti osservatori pronosticano che possa appoggiare le analoghe pretese brasiliane. Il quarto fronte comune riguarda invece la promozione dell’Alleanza globale per i biocarburanti, lanciata al recente vertice del G20 (Group of 20) di Nuova Delhi: Brasile, Stati Uniti e India, sono i tre maggiori produttori di combustibili derivati da fonti organiche.