Brasile. Il Pil come la Copa do mundo

di Francesco Giappichini

Nel 2023 il prodotto interno lordo (Pil) del Brasile è inaspettatamente cresciuto del 2,9%: i dati sono dell’Instituto brasileiro de geografia e estatística (Ibge). L’economia sudamericana ha raggiunto il nono posto nel ranking mondiale del Pil nominale, scalando un paio di posizioni (quelle di Canada e Russia). E il risultato è stato celebrato e discusso dai media verdeoro, come fosse un passaggio del turno ai Mondiali di calcio, la Copa do mundo. Del resto, è raro che un mero dato macroeconomico, per quanto importante, possa innescare dibattiti tanto accesi, ad esempio sui reali meriti del governo in carica. Le ragioni sono varie, a cominciare dalla frustrazione per l’impasse degli scorsi anni, innescata dal calo dei prezzi delle commodity.
Nel 2011, nel primo anno del mandato dell’ex presidente Dilma Rousseff, l’economia brasiliana raggiunse la sesta posizione, e scavalcò addirittura il Regno Unito; ma poi una serie di battute d’arresto, esacerbate dalla polarizzazione politica, portò a definire il Brasile come un «gigante dai piedi d’argilla». E tuttavia, dietro questa amplificazione mediatica, c’è altro; a cominciare dalla percezione, magari fumosa, di un’indefinita fiducia nel futuro. Non a caso si sottolinea come, al più tardi nel 2026, sarà superata anche l’Italia; almeno secondo le cosiddette “prospettive economiche mondiali”, periodicamente pubblicate dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Né potevano mancare le previsioni più ottimiste, come quella di Marcio Pochmann, il presidente dell’Ibge: a suo giudizio, entro il ’26, l’economia brasiliana potrebbe addirittura superare quelle di Francia e Gran Bretagna, e il Paese potrebbe finalmente recuperare lo status di sesta potenza economica mondiale.
Va poi aggiunto che il dato ha rappresentato il triplo, rispetto alle previsioni di un anno fa, quando si stimava una crescita inferiore al punto percentuale. A impressionare gli osservatori è stata anche la struttura di questo exploit economico. Hanno trainato il Pil i consumi delle famiglie (aumentati del 3,1%), ma soprattutto gli strabilianti risultati del settore primario, nel corso del primo semestre. Tanto che secondo alcuni analisti si tratterebbe di una crescita “desigual”, ossia “irregolare”. Nel ’23 il comparto agricolo è cresciuto addirittura del 15,1%, e grazie soprattutto alla soia (positivi comunque anche i raccolti di granturco e grano). Da ciò si deduce che l’impulso decisivo della crescita è localizzato nell’area centro-meridionale del Paese: specie nel Complexo regional Centro-Sul, una delle tre regioni geoeconomiche brasiliane.
Invero non possono poi essere taciuti gli effetti del trascinamento statistico (quello che in portoghese si definisce “carregamento estatístico”, o “herança”), considerando il dinamismo che aveva segnato la fase finale del 2022. Il settore terziario ha invece fatto registrare un più contenuto +2,4%, ma conserva un peso preponderante nell’economia nazionale. Le note dolenti provengono invece dal settore secondario. L’industria è cresciuta nel complesso di un modesto 1,6%, e solo grazie al comparto estrattivo (+8,7%) e all’energetico. L’industria di trasformazione, tra i motori dell’economia verde-oro, e l’edilizia, che è decisiva per la tenuta dell’occupazione, sono, infatti, calate bruscamente. Per il 2024 le previsioni variano tra un +1,7% e il governativo 2,2; merito soprattutto del previsto calo dei tassi d’interesse, che dall’11,25% attuale, dovrebbero scendere al 9% entro fine anno.