Buckingham Palace, domani

Quale avvenire per la corona britannica? Intervista incrociata a Guazzaloca e Galavotti.

a cura di Gianluca Vivacqua

Il sovrano inglese più longevo della storia lascerà il trono al principe ereditario più paziente della storia, suo figlio, o preferirà invece far spazio direttamente al nipote? Quel che appare verosimile è che la seconda età elisabettiana potrà avere meno problemi di successione rispetto alla prima. Non sarà necessario infatti disattendere alcuna disposizione testamentaria del predecessore di Elisabetta e, a meno di clamorosi rivolgimenti, il consiglio di successione non dovrà avallare alcuna candidatura nella cerchia allargata della famiglia reale. Sempre a meno di clamorosi rivolgimenti, ci si prepara piuttosto a un trapasso in stile Vittoria, altra regina lungiregnante (suo era, anzi, il record di durata sul trono, prima che l’attuale coronata lo stracciasse). Ma poi, quale sarà il futuro della monarchia inglese? Ne parliamo con due storici, Giulia Guazzaloca dell’università di Bologna, autrice di Storia della Gran Bretagna: 1832-2014 (Mondadori Educational, 2015), ed Enrico Galavotti di Homolaicus, che nel 2016 ha pubblicato come autore indipendente una Storia dell’Inghilterra dai Normanni alla rivoluzione inglese.

– Come vedete la corona inglese dopo Elisabetta II?

Guazzaloca: “In Gran Bretagna le istituzioni fondamentali dello Stato, compresa la monarchia, non sono mai state terreno di confronto e scontro tra i partiti e molta della propria legittimazione la traggono dalla storia, dalla tradizione, dalla continuità col passato. Senza con questo voler ridimensionare il ruolo che determinati sovrani e sovrane – penso alla regina Elisabetta ma anche a Vittoria – hanno esercitato nel plasmare le funzioni e l’immagine della Corona, è importante tener presente che le istituzioni inglesi sono sempre state più “indipendenti” dalle figure dei singoli leader o sovrani di quanto non lo siano state, ad esempio, quelle italiane. In tal senso, anche dopo il regno di Elisabetta la monarchia continuerà a rappresentare il “noi condiviso” della nazione, a incarnare l’unità del paese e il legame profondo tra passato, presente e futuro; e per un popolo tradizionalista e attaccato alle proprie radici come quello britannico si tratta di una funzione fondamentale. Sicuramente sia per Carlo sia per William non sarà facile essere all’altezza di una regina come Elisabetta II che passerà alla storia per il suo dignitoso contegno, la fermezza del carattere, un carisma straordinario e un regno che ad oggi è il più lungo di tutta la storia inglese. Penso tuttavia che la monarchia come istituzione fondante e rappresentativa della nazione non subirà grossi contraccolpi o ammaccature con la fine del regno elisabettiano, soprattutto se i suoi successori saranno capaci di esercitare quel potere impalpabile, indefinito, “emozionale” che oggi è il solo di cui dispongono i sovrani delle monarchie costituzionali. Un potere che può sembrare ridotto e marginale ma che invece è importantissimo negli equilibri politici complessivi: si tratta della capacità di rendere la monarchia il centro morale e simbolico dell’unità nazionale. Lo si vide, ad esempio, in occasione della morte della principessa Diana. Secondo molti autorevoli osservatori, la regina commise allora l’unico errore del suo lungo regno: non rientrò subito a Londra dalla residenza estiva di Balmoral e, attenendosi scrupolosamente al protocollo, non fece issare la bandiera a Buckingham Palace. Durissimo, il “Sun” pubblicò in prima pagina una lettera che chiedeva “dov’è la regina quando il paese ha bisogno di lei?”. Gli inglesi, questo errore, glielo perdonarono presto, ma l’episodio e la domanda provocatoria del Sun danno bene il senso di quelli che oggi sono i poteri “indiretti” dei sovrani costituzionali. Regnano senza più governare e il loro compito è quello di rappresentare la nazione, di farsi interpreti delle gioie, delle preoccupazioni, dei dolori dei cittadini tutti. In altre parole, le monarchie costituzionali – e quella inglese più di altre – sono oggi il punto di coagulo dei riti, simboli e valori che compongono la “religione civile” di tutte le moderne democrazie di massa”.

Galavotti: “La monarchia inglese è l’equivalente del papato italiano. Assurdo pensare che possa scomparire da sé. Ci vogliono dei traumi storici perché ciò accada. Non bastano neppure gli scandali che di tanto in tanto colpiscono alcuni suoi singoli componenti. Ci vuole una rottura che coinvolga l’intera nazione, come quando per esempio la nostra monarchia sabauda perorò la causa del Fascismo. In Spagna la monarchia è rimasta perché la fine del franchismo non comportò uno stravolgimento epocale della società, ma solo una transizione più o meno indolore alla democrazia”.

– Vedremo mai un Carlo III d’Inghilterra, o passeremo subito a Guglielmo V?

Guazzaloca: “E’ una previsione difficile da fare, soprattutto per chi di mestiere studia il passato e dunque ha meno dimestichezza con le analisi sul futuro. Da tutti i più recenti sondaggi risulta che il popolo inglese preferirebbe avere il principe William come futuro re, piuttosto che suo padre Carlo. D’altro canto, la regina Elisabetta non può, secondo le leggi in vigore in Gran Bretagna, scegliere autonomamente a chi lasciare il trono e dovrebbe dunque essere il principe Carlo ad abdicare in favore del figlio. Carlo tuttavia non è tra i membri della royal family più amati dai sudditi: in parte, probabilmente, a causa delle travagliate vicende con la principessa Diana, in parte perchè nel corso degli anni ha spesso assunto posizioni nette su questioni spinose – un atteggiamento poco in sintonia con la posizione ‘super partes’ che dovrebbe avare un monarca – e forse anche per la sua intenzione, più volte ribadita, di ridurre e semplificare i rituali e le liturgie della monarchia, visti però dalla maggioranza degli inglesi come elementi fondanti della tradizione e del “mito” della Corona. C’è anche chi, sulla stampa, avanza il motivo della superstizione: il nome Carlo non sarebbe considerato di buon auspicio per un re vista la sorte sfortunata toccata ai precedenti sovrani inglesi con questo nome. In ogni caso la successione al trono non la determinano né i sondaggi né la scaramanzia e secondo la legge il prossimo sovrano sarà Carlo”.

Galavotti: “La monarchia è molto ligia alle forme, per cui dopo l’attuale regina salirà sul trono suo figlio (a meno che non vi rinunci spontaneamente), anche se gli inglesi preferirebbero il principe William, almeno come forma di “risarcimento” per tutto quello che ha subìto sua madre all’interno della corte e per la sua tragica morte, che ne ha fatto una specie di “martire””.

– Pensando al regno di Elisabetta II, si fa spesso un parallelo con quello della regina Vittoria, prima di tutto sotto il profilo della durata: ma quali sono effettivamente le analogie che, secondo voi, si possono cogliere fra queste due figure storiche?

Guazzaloca: “Confrontare il lungo e glorioso regno vittoriano con quello attuale di Elisabetta ci aiuta a comprendere innanzitutto quanto profondamente siano cambiati il ruolo e le funzioni della Corona. Non si tratta solo di un cambiamento di “circostanze” legate alle condizioni generali della Gran Bretagna nei due momenti; ma occorre tener presenti anche quelle. All’epoca di Vittoria, nella seconda metà dell’Ottocento, era la prima potenza al mondo sotto il profilo economico-commerciale e militare; Vittoria era alla guida di un impero sterminato che si estendeva su tutti i continenti, nel 1876 fu proclamata imperatrice delle Indie. La Gran Bretagna era una potenza globale, un “sistema mondo”. Già nel 1952, quando Elisabetta salì sul trono, tutto questo non c’era più. L’impero si stava dissolvendo e oggi non esiste, la Gran Bretagna non vanta più i suoi antichi primati economici e militari, i legami dinastici influenzano sempre meno la politica internazionale. Ma soprattutto i sovrani hanno perso del tutto quelle prerogative di intervento politico che in parte Vittoria ancora conservava. Si tratta di un mutamento fondamentale riassumibile con la nota formula, non a caso di matrice inglese, secondo cui “il re regna, ma non governa”. Si è trattato di una trasformazione lunga, di un processo di modernizzazione politica e istituzionale che ha impiegato quasi un secolo per realizzarsi fino in fondo ed è iniziato proprio all’epoca della regina Vittoria. La quale aveva le proprie “simpatie” politiche – era filo-conservatrice – e cercò anche, in alcuni momenti, di farle pesare; si lamentava spesso degli eccessivi vincoli cui era sottoposta e confidò alla figlia che era “una cosa miserevole dover essere un sovrano costituzionale e non poter fare ciò che è giusto”. Ma alla fine, seppur a malincuore, accettò le evoluzioni della balance istituzionale che andavano verso il consolidamento della liberal-democrazia e la centralità del Parlamento come fonte della legittimazione politica. Oggi, dunque, Elisabetta non possiede più quei residui di potere effettivo che Vittoria ancora conservava, ma proprio come la sua illustre antenata ha colto l’importanza della comunicazione e la necessità di rinnovare l’immagine della monarchia; così, ad esempio, ha aperto Buckingham Palace a garden party rivolti a cittadini comuni, ha una pagina Facebook e un account Twitter, nel 2007 ha avviato il primo Royal Channel su YouTube. Come Vittoria, poi, Elisabetta ha mostrato di possedere grande intelligenza politica, senso del dovere e straordinarie doti di appeal popolare, si è fatta apprezzare da leader e capi di Stato di tutto il mondo, ha saputo disciplinare la sua indisciplinatissima famiglia, ha passato indenne crisi economiche, tempeste politiche, guerre e persino la recente pandemia. Entrambe molto amate dai sudditi, hanno capito che il devoto attaccamento degli inglesi alla Corona non dipende dai suoi poteri politici effettivi, quanto piuttosto dal suo farsi emblema dell’unità e dell’identità della nazione”.

Galavotti: “La regina Vittoria ha gestito un’espansione imperialistica degli inglesi, tant’è che si parla di “epoca vittoriana”. L’attuale si è dovuta limitare a gestire, in maniera burocratica, un Commonwealth in decadenza, e non si parlerà di “epoca elisabettiana”, anche perché c’è già stata all’inizio della storia moderna del Regno Unito”.

(Foto: Depositphotos).