Caucaso meridionale: l’aggressione dell’Azerbaigian all’Armenia minaccia la stabilità regionale

di Silvia Boltuc e Giuliano Bifolchi * –

Il Caucaso meridionale torna ad attrarre gli interessi internazionali dopo l’escalation militare iniziata nella notte del 13 settembre 2022 che ha visto scontrarsi le forze armate azerbaigiane a quelle armene.
Nelle prime ore della mattinata del 13 settembre il ministero della Difesa dell’Armenia ha riportato che nella notte le forze armate dell’Azerbaigian avevano lanciato un’aggressione militare su larga scala utilizzando artiglieria pesante, sistemi di lanciarazzi multipli e droni da combattimento in diverse direzioni lungo il confine orientale armeno-azerbaigiano colpendo le città armene di Goris, Jermuk, Vardenis, Kapan, Sotk e i villaggi vicini.
Durante le prime ore dell’escalation militare il primo ministro armeno ha avuto contatti telefonico con il presidente russo Vladimir Putin per aggiornarlo sulla reale situazione al confine armeno-azerbaigiano. Nel frattempo, il ministro della difesa armeno Suren Papikyan aveva parlato con l’omonimo russo Sergei Shoigu per poter prendere le misure necessarie per stabilizzare la situazione nel Caucaso meridionale. In contemporanea, il rappresentante della missione permanente dell’Armenia presso l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) aveva richiesto una sessione speciale del Consiglio permanente della CSTO per informare i paesi membri (Federazione Russa, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Bielorussia) su quanto stava avvenendo al confine armeno-azerbaigiano sottolineando come l’aggressione azerbaigiana minacci la sovranità territoriale armena.
Nella stessa giornata Pashinyan aveva anche telefonato e al segretario di Stato degli Stati Uniti Anthony Blinken e al presidente francese Emmanuel Macron, il quale aveva deciso di portare all’attenzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l’escalation militare tra Armenia e Azerbaigian. Consiglio di Sicurezza che si è svolto il 14 settembre 2022 e che ha visto ogni membro esprimere il loro supporto per l’instaurazione di un cessate il fuoco tra Baku e Yerevan il prima possibile.
Se da un lato l’Armenia ha accusato l’Azerbaigian di aver iniziato l’aggressione in maniera infondata, Baku ha risposta a quanto affermato da Erevan etichettando le informazioni riportate dai media e dal Governo armeno come “assurde”. La prima risposta azerbaigiana, infatti, era pervenuta tramite il sito ufficiale del ministero della difesa di Baku in cui si accusava la parte armena di aver iniziato le operazioni militari.
Parole, quelle di Baku, che non hanno trovato supporto in Europa sia nel mondo dei social network che tra le stanze del Parlamento Europeo. A tal proposito Marina Kaljurand, membro del Parlamento europeo e presidente della Delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale, ha pubblicato una dichiarazione sul suo account Twitter in cui ha condannato “l’attacco militare su larga scala della scorsa notte dell’Azerbaigian contro molteplici obiettivi nel territorio della Repubblica dell’Armenia… Questa recente aggressione non provocata e ingiustificata contro il territorio sovrano dell’Armenia è l’ennesima violazione flagrante da parte dell’Azerbaijan della Carta delle Nazioni Unite, dell’Atto finale di Helsinki e della Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020”.
Durante la sessione del Parlamento Europeo del 13 settembre, il deputato francese François-Xavier Bellamy aveva richiamato all’attenzione i propri colleghi su quanto stava accadendo nel Caucaso meridionale sottolineando che “niente può giustificare l’aggressione criminale dell’Azerbaigian contro l’Armenia. Se agiamo ora, possiamo fermare questa guerra. Lo dobbiamo alla sicurezza dell’Europa, e soprattutto al popolo armeno” e continuando il suo discorso accusando il Governo il Baku di aver violato negli ultimi due anni le regole del diritto internazionale e, grazie al supporto della Turchia, di aver attaccato il Nagorno-Karabakh / Artsakh nel 2020.
Affermazioni dure nei confronti del Governi di Baku supportate da una serie di immagini e video che circolano sui social network (in special modo Twitter) in cui vengono mostrate case di civili armeni distrutte o colpite dal fuoco dell’artiglieria azerbaigiana, droni turchi in dotazione all’esercito azerbaigiano che colpiscono obiettivi militari armeni, l’artiglieria azerbaigiana che colpisce centri abitati da lunga distanza così come prigionieri armeni catturati dalle forze azerbaigiane.
Sempre al mondo dei social network, realtà parallela molto attiva in ogni situazione di crisi, diversi cittadini europei hanno iniziato a paragonare l’aggressione dell’Azerbaigian all’Armenia con gli eventi che interessano l’Ucraina richiedendo al Parlamento Europeo di imporre sanzioni nei confronti del governo di Baku che, pur essendo un partner strategico e commerciale di Bruxelles, ha deliberatamente attaccato uno Stato sovrano e non rispettato le regole del diritto internazionale.
I primi dati forniti dal governo di Erevan parlavano di 49 morti tra le file militari armene. Il numero delle vittime dell’Armenia sarebbe salito poi a più di cento persone inclusi anche i civili. Baku avrebbe confermato la perdita di circa 50 soldati.
Se diversi media internazionali e italiani hanno erroneamente riportato la notizia che l’escalation militare stava interessando il Nagorno-Karabakh, in verità la crisi che sta attualmente avvenendo nel Caucaso meridionale vede direttamente opporsi l’Armenia e l’Azerbaigian, fattore che allarma Bruxelles sull’eventualità che un possibile conflitto possa interessare una regione fondamentale per la strategia di sicurezza energetica europea.
È opportuno ricordare che l’Armenia è membro della CSTO e potrebbe fare appello all’articolo 4 che prevede il supporto militare dei paesi membri nel caso sia minacciata l’integrità territoriale di uno degli Stati dell’organizzazione. In tal caso, l’Armenia ha accusato l’Azerbaigian di aver bombardato un veicolo dell’FSB russo, mentre durante il discorso in Parlamento che il primo ministro armeno ha tenuto nella giornata di ieri mercoledì 14 settembre 2022, Pashinyan ha affermato di aver presentato domanda alla CSTO sulla base dell’articolo 4 richiedendo ai paesi membri di fornire assistenza militare all’Armenia per difendere la sua integrità territoriale.
Un intervento della CSTO farebbe sprofondare l’intera regione caucasica e anche l’Asia Centrale in un conflitto che coinvolgerebbe non solo Armenia e Azerbaigian, ma anche Russia, Bielorussia, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan, paesi con cui il governo di Baku ha un forte rapporto diplomatico, culturale e commerciale. Se da un lato l’Armenia potrebbe ricorrere alla CSTO, l’Azerbaigian potrebbe sempre contare sulla Turchia, paese membro della NATO e storico alleato di Baku che già nel 2020 ha supportato militarmente e strategicamente l’esercito azerbaigiano nel Conflitto del Nagorno-Karabakh che ha visto la vittoria azerbaigiana sul campo.
Come risponderà a questa nuova crisi l’Europa? In un periodo storico caratterizzato da crisi economica ed energetica a Bruxelles c’è chi chiede la condanna nei confronti dell’Azerbaigian e chi invece minimizza soffermandosi sulla necessità che entrambe le parti raggiungano un accordo sul cessate il fuoco. Il temporeggiare dell’Europa, così come il lungo silenzio e l’inattività di Bruxelles avuta nel Conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020 durato 44 giorni il cui cessate-il-fuoco è stato raggiunto grazie alla mediazione di Mosca, è dato dal fatto che l’Azerbaigian è stato scelto da Bruxelles come partner commerciale e strategico per diversificare le importazioni di gas naturale del continente e quindi diminuire la pressione russa aumentata dopo l’inizio del conflitto in Ucraina e l’imposizione delle sanzioni nei confronti di Mosca. Quindi da un lato l’Europa deve mantenere i buoni rapporti con l’Azerbaigian ed evitare che l’escalation si trasformi in un conflitto regionale che possa colpire i gasdotti che trasportano il gas azero in direzione europea arrivando al terminale ultimo in Puglia. Dall’altro lato, però, l’Europa non può rimanere in silenzio ed evitare di pronunciarsi nei confronti del Governo di Baku accusato da diversi membri del Parlamento Europeo e dai cittadini europei sui Social Network di essere un paese aggressore che dovrebbe essere punito con sanzioni alla stregua della Russia.
Situazione difficile a Bruxelles che deve fare i conti con anni di silenzi e occhi chiusi che non le hanno permesso di vedere o leggere i tanti rapporti stilati dalle organizzazioni non governative che accusavano il Governo di Baku di reprimere la libertà di stampa e l’opposizione politica. Eppure, sarebbe stato facile comprendere che uno dei principali partner commerciali di Bruxelles, così come dell’Italia, celava al suo interno un regime definito spesso come “autoritario” guidato dalla famiglia Aliyev coinvolta in diversi scandali, tra cui non ultimo quello dei Panama Papers.
Così oggi sembrano molto più attuali i diversi allarmi inerenti l’Azerbaigian, paese inserito al 154° posto nello speciale Indice sulla Libertà di Stampa del 2022 pubblicato da Reporter Without Borders (secondo lo stesso indice l’Armenia sarebbe al 51° posto), al 128° posto nell’Indice di Corruzione Percepita pubblicato sempre lo stesso anno da Transparency International, valutato dalla Freedom House come un “regime autoritario” e accusato da Amnesty International di persecuzioni e molestie contro gli oppositori politici e di usare la forza per interrompere proteste pacifiche.
In questo quadro preoccupante che vede lo spazio post-sovietico traballare di fronte alle crisi provocate dal conflitto in Ucraina, dall’escalation militare al confino tra Armenia e Azerbaigian, e dagli scontri di frontiera tra Tagikistan e Kirghizistan, la speranza è che l’Europea e la comunità internazionale possano adoperarsi per favorire la pace in una macro area geografica fondamentale nello scacchiere geopolitico euroasiatico verso cui l’Europa sta guardando per avviare progetti commerciali ed economici. Una speranza, però, che deve fare i conti con le mire espansionistiche dell’Azerbaigian di Aliyev, supportato dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan che ad oggi non riconosce ancora il GenocidioaArmeno e nel frattempo sfrutta la crisi dei migranti e mediorientale per bilanciarsi e ottenere vantaggi a spese di Unione Europea, Stati Uniti e Russia.

* Articolo in mediapartnership con SpecialEurasia.