Conflitto del Nagorno-Karabakh, uno dei più duraturi della regione

di Gaia De Salvo * –

Nello scacchiere geopolitico internazionale rispunta un rutto focolaio di vecchia data. Con il ritorno della violenza e con le trattative di pace in corso, si tornati a parlare degli scontri fra Armenia e Azerbaijan per il territorio del Nagorno-Karabakh, uno dei conflitti più duraturi della regione, con radici profonde nella storia e nella cultura caucasica.
La regione del Nagorno-Karabakh, annessa dalla Russia nel 1813 e circa cento anni fa è diventata un Oblast Autonomo all’interno dell’Azerbaijan, come parte dell’Unione Sovietica. Nonostante la sua posizione geografica, l’area è prevalentemente abitata da una popolazione etnicamente armena, che differisce notevolmente dagli azeri in termini di cultura e religione. Gli armeni hanno radici profonde nella fede cristiana, mentre gli azeri appartengono a una cultura turcica e seguono principalmente l’Islam.
Queste differenze etnico-culturali hanno storicamente provocato ostilità tra i due Paesi confinanti, specialmente riguardo l’enclave armena. Le tensioni tra i due gruppi sono rimaste relativamente contenute fino al crollo dell’Unione Sovietica. Tuttavia, con l’inizio del declino dell’URSS, gli attriti sono emersi nuovamente portando alla nascita del conflitto del Nagorno-Karabakh, diventato il più prolungato tra quelli verificatisi nell’Eurasia post-sovietica.
Il primo conflitto – Nel 1988, la popolazione armena residente nel Nagorno-Karabakh chiede il trasferimento all’Armenia dell’allora Oblast Autonomo dall’Azerbaijan sovietico. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, le forze armene nel Nagorno-Karabakh, supportate dall’Armenia, riescono a prendere il controllo di gran parte del sud-ovest dell’Azerbaijan, compresa l’enclave stessa e il territorio circostante.
In reazione all’aspro conflitto, sono stati effettuati sforzi di mediazione tramite l’ex egemone e il cosiddetto Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), creato nel 1994 per affrontare la controversia. Tuttavia, questi sforzi non hanno portato a una soluzione permanente, ma solo a una tregua intermittente che è durata dal 1994 al 2020.
La ricerca di una soluzione politica al conflitto è stata complicata dalla dichiarazione di indipendenza dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh all’inizio del 1992, con elezioni indipendenti e un referendum nel 2006 che ha approvato una nuova costituzione. Queste azioni non hanno però ricevuto riconoscimento a livello internazionale.
Il secondo conflitto – Nel novembre 2008, il presidente armeno Serzh Sargsyan, originario del Nagorno-Karabakh, e il presidente azero Ilham Aliyev hanno firmato un accordo storico, il primo in 15 anni, impegnandosi a intensificare gli sforzi per risolvere il conflitto nella regione del Nagorno-Karabakh. Nonostante occasionali segnali di avvicinamento tra i due Paesi, negli anni ’10 ci sono stati scontri episodici e gli sforzi di risoluzione si sono ritrovati a un punto di stasi.
Nel 2019 un nuovo Governo in Armenia ha portato speranze di nuovi negoziati sul Nagorno-Karabakh, ma nel 2020 la diplomazia è fallita, portando agli scontri di luglio. Questi scontri, sebbene di breve durata, hanno aumentato la possibilità di un’escalation.
La Russia, responsabile della sicurezza armena, ha condotto esercitazioni militari unilaterali nei pressi del Caucaso solo pochi giorni dopo la tregua. Successivamente, la Turchia ha organizzato esercitazioni militari congiunte con l’Azerbaijan.
All’acuirsi delle tensioni, il 27 settembre si sono verificati nuovi scontri. Entrambe le parti erano preparate a un conflitto prolungato rispetto a luglio, e l’Azerbaijan era sostenuto dall’alleato turco. Il conflitto si è rapidamente intensificato, diventando il più grave dal suo inizio negli anni ’90. La guerra terrestre, caratterizzata dall’uso di munizioni a grappolo e missili balistici, ha causato gravi perdite e danni. L’uso di droni ha anche giocato un ruolo significativo, oltre a una vasta guerra mediatica sui social media.
L’accordo del 2020 – Più di settemila soldati e civili sono stati uccisi, mentre centinaia di soldati armeni e azeri sono rimasti feriti. Inizialmente, entrambe le parti hanno respinto le pressioni delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e della Russia per intraprendere colloqui e porre fine alle ostilità, decidendo di continuare a combattere. Le tensioni si sono ulteriormente acuite quando entrambe le parti hanno iniziato a usare artiglieria a lunga distanza e altre armi pesanti.
Dopo diversi tentativi falliti di negoziare un cessate il fuoco da parte di Russia, Francia e Stati Uniti, Mosca è riuscita a mediare un accordo di cessate il fuoco il 9 novembre 2020. L’accordo è stato ulteriormente assicurato dalla presenza delle operazioni di peacekeeping russe e ha posto fine alla seconda guerra del Nagorno-Karabakh, che è durata sei settimane.
L’Azerbaijan ha riconquistato gran parte del territorio precedentemente perduto due decenni prima, lasciando all’Armenia solo una parte del Karabakh. L’accordo ha anche stabilito il corridoio di Lachin, una stretta striscia di terra monitorata dalle forze di pace russe, che funge da via di transito tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh.
Tuttavia, come le recenti tensioni hanno dimostrato, siamo ben lontani da una piena risoluzione del conflitto e dalla convivenza pacifica delle due comunità.

* Autrice per l’area Diritti Umani – Mondo Internazionale Post.

Articolo in mediapartnership con Giornale Diplomatico.