Crisi del Sudan: intervista con l’ambasciatore del Sudan in Italia Sayed Altayeb Ahmed

a cura Silvia Boltuc * –

Il Sudan, paese membro dell’Unione Africana e della Lega Araba, ha una storia lunga e complessa di instabilità politica, conflitti e sfide economiche.
Uno dei fattori chiave che hanno plasmato la geopolitica del Paese è la sua diversità di gruppi etnici e culturali, che ha spesso portato a tensioni e conflitti tra diverse regioni e comunità. Il Paese africano infatti ospita oltre 500 gruppi etnici, con le comunità arabe, nubiane e beja che sono le più grandi.
La sua posizione strategica al crocevia tra Africa e Medio Oriente, oltre alle sue riserve di risorse naturali, lo ha reso un attore chiave nella politica regionale e nelle relazioni internazionali.
Nel 1989 un colpo di stato militare guidato da Omar al-Bashir pose fine al governo civile e stabilì un regime dittatoriale che rimase al potere per oltre 30 anni.
Nel 2019 una rivolta popolare ha portato all’istituzione di un governo di transizione. Da allora il Sudan ha cercato di superare le sfide inerenti alle riforme democratiche e alla ricostruzione delle sue relazioni con la comunità internazionale.
In una conversazione con l’ambasciatore del Sudan in Italia, Sayed Altayeb Ahmed, abbiamo ripercorso gli eventi che hanno portato all’attuale crisi.

– Il 13 aprile 2023, le Forze di Supporto Rapido (RSF) hanno mobilizzato un ampio contingente all’aeroporto internazionale a Marawi, nel nord del Paese. Che è successo?
Davanti a questo segnale di all’allarme i partiti politici sudanesi e il Meccanismo Tripartito (Nazioni Unite, Unione Africana e IGAD) hanno immediatamente organizzato un meeting fra il leader delle Forze Armate, il generale Abdel Fattah al-Burhan ed il leader delle RSF, il generale Mohamed Hamdan Dagalo. È importante ricordare che le RSF sono state riconosciute come forze di supporto regolare sotto il commando delle Forze Armate sudanesi con un decreto adottato dal Parlamento nel 2017; il loro compito era quello di offrire supporto alle forze regolari nel confrontare movimenti armati fuori dai confini statali, combattere il traffico di esseri umani, la criminalità locale e proteggere i confini.
Mentre si attendeva il meeting fra i due leader, il 15 aprile 2023 le RSF presenti nel compound di comando delle Forze Armate hanno condotto un attacco a sorpresa alla residenza del presidente del Consiglio sovrano, nonché comandante dell’Esercito sudanese regolare. Contemporaneamente le unità delle RSF, dislocate in molteplici istituzioni strategiche, si sono attivate nel tentativo di ottenerne il controllo, iniziando di fatto un colpo di Stato
“.

– Qual è stato l’elemento scatenante della crisi?
L’elemento scatenante è da ricercarsi nella transizione democratica del Sudan. Il prerequisito di qualunque sistema democratico è avere un singolo esercito nazionale a protezione della società civile. Nel contesto del Framework Agreement, siglato il 5 dicembre del 2022 tra le componenti militari del Paese e diverse forze politiche in preparazione alla formazione di un governo civile di transizione, è emerso un contenzioso: la leadership delle RSF rifiutava l’integrazione nelle Forze Armate sudanesi regolari“.

Analizzando il contesto umanitario degli eventi che hanno preceduto e seguito il colpo di stato, l’ambasciatore sudanese argomenta che “l’opera di reclutamento e di addestramento delle RSF non è avvenuto all’interno delle regole di ingaggio stabilite dalle leggi internazionali per gli eserciti regolari“.

– In che senso?
Si sono registrati sequestri di persona e di strutture civili come ospedali convertiti ad uso militare. Inoltre le missioni diplomatiche internazionali sono state attaccate: il 17 aprile è stato preso di mira l’ambasciatore dell’Unione Europea nella sua residenza; il 22 aprile è stato assaltato il convoglio che evacuava l’ambasciatore francese; il 23 aprile è stato ucciso l’attaché militare dell’ambasciata d’Egitto e si sono registrati spari su veicoli dell’ambasciata statunitense ed una serie di altre ambasciate internazionali“.

– Come valuta e come potrà evolversi la situazione?
La crisi umanitaria e politica del Sudan non ha ancora trovato una risoluzione a causa anche delle continue violazioni delle tregue e dei cessate-il-fuoco. Ancora non ci sono campi per i rifugiati in fuga dalle operazioni militari e si registrano molte vittime civili. Inoltre è doveroso sottolineare che l’attuale crisi umanitaria provocata dagli scontri armati si va a sommare alla già esistente crisi di rifugiati considerando che in territorio sudanese sono presenti oltre 2 milioni di sfollati provenienti dal Sud Sudan, dall’Eritrea e da altri paesi vicini.
La regione già colpita dai conflitti in corso in Etiopia, Sud Sudan e Somalia, che hanno provocato decine di migliaia di morti e milioni di sfollati e dal cambiamento climatico, risentirebbe gravemente di una guerra civile in Sudan. Lo Stato africano, infatti, confina con le aree strategiche del Mar Rosso, la regione del Sahel ed il Corno d’Africa, i cui equilibri fragilissimi sarebbero ulteriormente destabilizzati con il rischio che l’Italia e l’Europa si trovino ad affrontare una ulteriore migrazione di massa.
Nonostante continuasse ad affrontare una serie di sfide, tra cui l’instabilità economica, i conflitti in corso nelle regioni del Darfur e del Nilo Azzurro e le tensioni con i paesi vicini, il Sudan, secondo quanto soventemente dichiarato dagli organi ufficiali, aveva intrapreso una transizione democratica che rischia di subire una brusca interruzione in seguito alla attuale crisi politica interna. Gli interessi di attori internazionale dietro i leader delle Forze Armate regolari del Sudan e delle RSF rischiano di concorrere a protrarre la crisi per ottenere il controllo di uno stato strategicamente posizionato all’interno del contesto africano e ricco di risorse naturali come idrocarburi ed oro
“.