Cuba. La cubastroika non decolla

di Francesco Giappichini

Nonostante l’uscita dalla fase pandemica, Cuba non riesce a risalire la china e nel 2023 il suo prodotto interno lordo (Pil) si è contratto di un ulteriore due per cento. Mentre quella fase di declino politico e sociale, che è cominciata nel 2017 con l’elezione del presidente Donald Trump alla Casa Bianca, non pare avere fine. Del resto gli analisti ne sono convinti: neppure la «cubastroika», ovvero quelle riforme che L’Avana avrebbe dovuto implementare col sostegno della Russia, è riuscita a innescare processi economici virtuosi. Lo testimonia la recente visita nell’Isola del ministro degli Affari esteri della Federazione russa: Sergej Viktorovič Lavrov ha evitato di rispondere alle domande di tenore economico, limitandosi a dichiarazioni generiche («Oggi abbiamo confermato la nostra volontà di aumentare la collaborazione, gli investimenti reciproci»).
Secondo i “cubanologi”, la versione tropicale dei cremlinologi, ben poco si sarebbe concretizzato, specie a causa dell’ambizione di Mosca di inaugurare un’inedita cogestione con Gaesa (Grupo de administración empresarial): ovvero il consorcio empresarial che fa capo alle Forze armate. I russi, insomma, non si sarebbero dimostrati per nulla interessati a sostenere quelle aperture liberali, tanto necessarie all’asfittico tessuto produttivo nazionale. Avrebbero invece voluto mettere le mani sul centro nevralgico dell’economia, affiancando quell’oscuro conglomerato di società, che fa capo all’esercito: secondo alcuni analisti, Gaesa controllerebbe il 60% dell’economia.
Inutile dire che la cupola civico-militare non poteva che respingere la proposta. Non solo perché condividere il potere con oligarchi siberiani mafiosi e vendicativi poteva essere rischioso; ma una tal cessione di sovranità poteva essiccare una tra le principali fonti di legittimazione del potere politico. Insomma il Consejo empresarial Rusia-Cuba e il suo presidente Boris Titov avrebbero ottenuto ben poco, se non l’ottenimento di una licenza per produrre rum cubano. Un affare che, secondo i media dei dissidenti, beneficerà in prima persona Titov, che in passato ha diretto la grande azienda vinicola Abrau-Durso. Così, a giudizio di alcuni osservatori, la rusificación dell’economia cubana servirebbe solo a camuffare quell’alleanza politica e militare, che invece sì, interessa al Cremlino.
I vertici dell’Avana consentono all’aviazione militare russa di operare nella base aerea di San Antonio de los Baños, mentre la flotta della Federazione può disporre del porto di Casilda; e non è dunque un caso che Lavrov si sia riunito anche col ministro delle Forze armate rivoluzionarie (ed Eroe della Repubblica di Cuba), Álvaro López Miera. In questo scenario di crisi (non solo economica, ma anche valutaria o migratoria), ha fatto discutere la destituzione del ministro dell’Economia e della pianificazione, Alejandro Gil. L’artefice del piano economico noto come Tarea ordenamiento, con cui nel 2021 si puntava all’unificazione monetaria, è stato sostituito dal governatore della Banca centrale, Joaquín Alonso Vázquez. Una nomina che non lascia intravedere alcuna volontà riformista, se ci limitiamo all’analisi dei Tweet del neoministro. Secondo i media indipendenti e i siti della diaspora, la cupola che detiene il potere avrebbe scelto Gil come capro espiatorio; in ogni caso l’obiettivo del «fin de la doble moneda» non è stato raggiunto: la moneta a corso legale convive con le valute forti, mentre è sorto un mercato valutario parallelo.