Cuba. La trovata della “rusificación”

di Francesco Giappichini

Poteva la sgangherata cupola politico-burocratica e militare che detiene il potere all’Avana, avere un’idea migliore, rispetto alla “rusificación” della propria economia? C’erano altre vie da percorrere, diverse da quella di appaltare la gestione economica a una potenza imperiale europea, e al Commissario presidenziale per i diritti degli imprenditori Boris Titov? Era possibile sollevarsi da una crisi energetica, petrolifera, idrica, e sociale, senza esternalizzare l’economia a un oligarca? È stato sbagliato subappaltare il commercio a un proconsole del presidente Vladimir Putin, dal passato oscuro, e a rischio di neoplasie fulminanti? Sì, perché l’opinione pubblica è stata molto colpita dalla morte del vice ministro russo della Scienza, Pyotr Kucherenko.
Il politico, di 46 anni, è deceduto a fine maggio, poco dopo il malore improvviso che lo ha colpito su un volo L’Avana – Mosca. I media scrivono che ha definito “fascista” l’invasione dell’Ucraina, ma ciò che qui interessa, è che nel corso della visita stava occupandosi della “rusificación”. Ebbene, l’autocrazia cubana non aveva alternative, con l’attuale crescita asfittica del prodotto interno lordo, stimata per il ’23 all’1,8%; l’inflazione del settore formale è pari al 44,9%, ma si valuta che quella del mercato informale sia molto più elevata. Così, a giudizio di acuti osservatori, questo volgere lo sguardo verso Mosca avrebbe il sapore di una diabolica trovata. Certo, per l’universo anti-castrista, la giunta civico-militare avrebbe dovuto decretare l’autodissoluzione: un’operazione doverosa, nel mezzo di una diaspora che ha contato fino a 300mila partenze nel solo ’22, e le cui lacerazioni sociali costituiranno materiale letterario per decenni.
Una simile svolta avrebbe tuttavia richiesto, da parte dell’ingombrante vicino del Nord, una collaborazione flessibile e coraggiosa; e non certo la sclerotica riproposizione di mostruosità giuridiche: l’embargo, le sanzioni e l’inserimento di Cuba nella “lista nera” dei Paesi sponsor del terrorismo. Insomma, quel processo prefigurato mesi fa è avviato. E sono già operativi quegli accordi commerciali pubblici e privati, che prevedono una parziale restaurazione capitalista. I russi, anche col supporto del loro sistema bancario, godranno di ogni agevolazione per investire nell’Isola: sotto il profilo fiscale, per la gestione della manodopera locale, e contando su concessioni terriere trentennali.
E potranno creare reti infrastrutturali, e far cassa sul relativo export verso l’America latina. Si tratterebbe insomma di una partnership sia industriale (si pensi all’assemblaggio delle auto Uaz – Ul’janovskij avtomobil’nyj Zavod), sia commerciale. Che, nella speranza dei cubani, dovrebbe farla finita con la carenza di beni, compresi quelli di prima necessità. Certo, lo scenario caratterizzato da scaffali vuoti (compresi quelli delle farmacie), accompagna gli isolani dall’inizio degli Anni novanta; e tuttavia in epoca di globalizzazione delle notizie – mentre su Whatsapp scorrono le opulente immagini del turbocapitalismo della Florida – non è più tollerabile presso la società civile. Che tuttavia ha scelto di reagire senza violenza, ma attraverso una cupa disillusione rispetto a ogni manifestazione del potere pubblico. E la stessa élite al potere, per restare in sella, ha deciso di ridurre la pressione sulla cittadinanza: sia sui caratteristici traffici para-legali, sia sui flussi delle rimesse, sia sulle manifestazioni di dissenso (se innocue).