Finita l’era di Chavez: il Venezuela saprà imboccare la vera via della democratizzazione?

di Roberto Marraccini –

Il 5 marzo scorso Hugo Rafael Chavez Frìas, Presidente e Capo del Governo del Venezuela, è morto.
Immediatamente Cuba – e già solo questo potrebbe dire molte cose – ha decretato, per ricordarne la figura, tre giorni di lutto nazionale. Tutto questo, a prima vista, potrebbe di per sé essere sufficiente per far comprendere l’ideologia e lo spirito socialista che ha animato i 14 anni di potere di Hugo Chavez: una vera e propria commistione tra Stato e ideologia socialista-progressista: il cosiddetto socialismo del XXI secolo. Il semplice fatto, allora, che il regime castrista, con un gesto emblematico, abbia dichiarato apertamente la propria vicinanza, amicizia e unità d’intenti con il sistema chavista, la dice lunga sul carattere “democratico” e liberale che la “Repubblica Bolivariana del Venezuela” (articolo 1 della nuova Costituzione voluta da Chavez) ha acquisito in questi ultimi 15 anni.
Gli argomenti, i “valori” che Chavez ha utilizzato costantemente nel suo lungo dominio politico (1999-2013) sono presto detti e riassunti: antimperialismo, nazionalismo terzomondista, populismo militare e antiamericanismo viscerale.
E poi, non dobbiamo dimenticare la mistica bolivarista, da intendere come richiamo unitario e senso di missione di un intero popolo – in questo caso quello venezuelano – che lui (il comandante Chavez) avrebbe liberato dal giogo dei potentati economici occidentali e fatto incamminare verso la rivoluzione socialista del XX secolo. In questo caso, però, il modo verbale – ovvero il condizionale – è doveroso, visto e considerato che nonostante egli abbia impostato tutta la sua linea politica per sganciare il proprio paese dall’aggancio con gli USA, oggi il Venezuela è ancora fortemente dipendente dall’economia statunitense. Molto più di quanto gli Stati Uniti, invece, abbiano bisogno del Venezuela (secondo esportatore al mondo di petrolio). Quello chavista, quindi, analizzato nel dettaglio, è un vero e proprio metodo di governo orientato alla costruzione di una società ideale – nuova – sulla terra. Una società, come Chavez stesso sosteneva incessantemente, più giusta, più egualitaria e dunque più democratica.
Lo Stato sudamericano è uno dei paesi più ricchi di petrolio al mondo. Solo che, nonostante i declamati obiettivi egualitari chavisti-bolivariani, è ancora pieno di profonde disuguaglianze, con cittadini che vivono in alcune delle baraccopoli più povere e violente dell’intera America Latina. Solo per rammentare un dato, davvero emblematico e spaventoso in tutta la sua drammaticità, la sicurezza sembra essere un valore inesistente in Venezuela visto che, ogni anno, gli omicidi sono all’incirca 20.000.
Altri dati emblematici e che dovrebbero far riflettere tutti coloro che difendono e propugnano il realizzarsi, altrove, di sistemi politico-istituzionali modellati sul chavismo, riportano alla dura realtà delle cose. Con Chavez al potere il deficit statale è schizzato al 20% del prodotto nazionale, il debito estero del Venezuela è oggi dieci volte superiore rispetto a 10 anni fa, l’inflazione è la più alta di tutto il continente, i blackout – e questo è davvero un paradosso per uno Stato che produce energia in enorme quantità e possiede molti giacimenti di petrolio – sono ormai prassi frequente. Da ultimo, ma certamente non meno importante, bisogna ricordare la forte concentrazione del potere politico nelle mani di una sola persona e del suo apparato che, certamente, fanno del regime venezuelano non proprio un esempio della moderna democrazia liberale.
Per capire, comunque, in maniera chiara quale fosse la vera natura su cui poggiava – e poggia ancora oggi, vista la continuità che il vicepresidente Maduro sta portando avanti – il sistema di Chavez, occorre analizzarne nel dettaglio la politica estera ed internazionale. Chavez strinse amicizie e collaborazioni con Stati autoritari, se non addirittura definibili come non democratici. È un fatto, infatti, che alle esequie del caudillo venezuelano fossero presenti – oltre ovviamente a capi di Stato del Sudamerica – anche Ahmadinejad e il Presidente della Bielorussia, Lukashenko, meglio conosciuto come “l’ultimo dittatore d’Europa”.
Inoltre, è evidente la radicalizzazione delle posizioni anti americane in special modo dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Dopo l’11 settembre del 2001, data spartiacque della storia contemporanea, Chavez iniziò in maniera forte ed esplicita a prendere le distanze dall’amministrazione Bush, divenendo sempre più critico nei confronti degli Stati Uniti, che per lui rappresentavano – né più né meno – l’impero degli yankee (il riferimento è a un intervento dello stesso Chavez tenuto presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite). È soprattutto in questa retorica e dialettica anti-americana – in alcuni casi anche anti-occidentale – che si può scorgere quella grande influenza che il caudillo venezuelano è riuscito a conquistare in alcuni Paesi del Sud America, divenendo per milioni di cittadini – a torto a ragione questo sarà compito degli storici dircelo – un paladino delle idee di eguaglianza e giustizia sociale (tutte questioni su cui ci sarebbe molto da discutere).
È comunque fuori di dubbio che il Venezuela, ora, dovrà fare i conti con un vuoto di potere – carismatico – che solo le figure su cui si concentra il culto della personalità sanno creare nei propri popoli. Il Venezuela, ora, dovrà anche capire dove vuole andare: se abbandonare la deriva populista e terzomondista fine a sé stessa realizzando un processo di democratizzazione del paese, oppure se incamminarsi ancora di più – con rischi enormi per la propria credibilità come partner strategico regionale – su posizioni antiamericane e antioccidentali.
A breve, comunque, stante anche l’appuntamento elettorale ormai alle porte (elezioni presidenziali), è molto difficile pensare ad un cambiamento forte nell’intero sistema politico-istituzionale venezuelano. Così come appare improbabile un cambio netto di strategia del Venezuela nella propria politica estera. Le elezioni presidenziali, convocate per il prossimo 15 aprile, saranno dunque un test molto importante, non solo per il paese bolivariano ma anche per l’intero Sud America, per gli equilibri geo-politici e per i futuri rapporti tra potenze regionali da qui al prossimo futuro. Dalle previsioni appare quasi scontata la vittoria del continuatore diretto del sistema chavista, ovvero il vicepresidente Nicolás Maduro.
Alla fine, però, chissà quando, anche il chavismo – inteso come vera e propria ideologia totalizzante di Stato – terminerà il proprio corso ed imploderà. Ma imploderà per la sua stessa natura: illiberale, autoritaria, repressiva e antidemocratica. Un sistema politico, in sostanza, fuori dalla storia.