Europa, commercio, diritto: intervista a Gianluca Scarchillo

Esperto di sistemi giuridici comparati e diritto privato comparato alla facoltà di Giurisprudenza della Sapienza Università di Roma.

a cura di Valentina Busiello

– Ci spiega la sua idea sul su impresa e società nel diritto europeo?
Tutto parte dalla centralità della persona all’interno della cultura giuridica europea, persona creatrice e creativa. Intraprendente, insomma.
Ad ogni latitudine del nostro continente si riscontra un’affascinante declinazione dell’ingegno umano, di cui peraltro noi italiani, me lo lasci dire, siamo un ottimo esempio.
Sin dai tempi più remoti il commercio ha rappresentato un’attività essenziale per lo sviluppo delle nostre economie, per la crescita progressiva delle tecnologie e delle conoscenze e chiaramente delle possibilità per le nostre comunità.
Tale incontenibile slancio verso la novità, la produzione e lo scambio portò alla formazione di un diritto del commercio, un diritto dei mercanti nato dalla pratica degli operatori, che potesse rispondere alle esigenze della frizzante dinamica commerciale. Tale diritto spontaneo, che mirava alla creazione di nuove risorse, di possibilità e di ricchezza, si poneva in un orizzonte che valicava i confini esprimendo una originaria indole di “diritto uniforme”. Cioè di un diritto che fosse quindi in grado di permettere ed agevolare l’attività commerciale dei singoli oltre la comunità di appartenenza.
In questo quadro occorre poi aggiungere il ruolo della forma societaria che, con l’elemento della limitazione della responsabilità, ha rappresentato per secoli, dal 1600 in avanti, lo strumento prediletto ed estremamente funzionale per lo svolgimento dell’attività d’impresa.
Giungendo ai giorni nostri, il mercato unico costituisce un’ottima occasione per esprimere al meglio tale spirito dell’impresa sull’orizzonte trans-nazionale, per ampliarne le possibilità e per mantenere quello spirito intraprendente che ha caratterizzato per secoli il nostro continente. Certamente in un contesto diverso, con degli Stati nazionali maturi e consapevoli delle loro specificità produttive ed inseriti in un quadro “recente”, quale quello unionale.
In tale contesto l’impresa di diritto europeo costituisce la declinazione “uniforme” di un’attività che in tal modo non subisce le inevitabili limitazioni e costi dell’operare a cavallo tra più Stati (membri). Intende quindi essere un’occasione per valorizzare le energie produttive.
Si pensi al proposito di agevolare la mobilità trans-frontaliera delle società attraverso le c.d. “direttive di armonizzazione”, alle pronunce della Corte di Giustizia, ai regolamenti volti alla introduzione di modelli organizzativi di fattura comunitaria, e, in particolare, alla introduzione di un istituto, a me caro, che è quello della Società Europea (Societas Europaea – SE).
La SE infatti costituisce a mio parere uno dei più interessanti tentativi per ampliare sull’orizzonte comunitario le opportunità dell’impresa. Essa infatti segna un ulteriore passo in avanti rispetto allo scopo di rimuovere gli ostacoli alla circolazione delle imprese, giacché, contribuendo a costruire il mercato interno vuole, cito il regolamento che istituisce la SE, promuovere lo sviluppo economico e sociale in tutta la comunità, creando una Società per Azioni nativa europea, che non soffre i limiti di circolazione nell’unione (poiché per il suo trasferimento in un altro Stato membro non è necessario scioglimento e ricostituzione) e che può essere utilizzata come veste giuridica per quelle imprese che intendono operare su scala comunitaria.
Tale strumento rappresenta un’occasione per valorizzare e vivacizzare l’attività d’impresa e per ampliare le opportunità produttive e di investimento. Occasione che però, sfortunatamente per le nostre volenterose imprese, ha incontrato l’inerzia del nostro legislatore, costituendo sì un’occasione, ma un’occasione ancora non colta.
Questa è dunque la prospettiva di diritto societario europeo. Un diritto che cerchi possibilità ed opportunità per quanti nella comunità sono portatori di quello spirito creativo e di quell’intraprendenza ed energia produttiva che ha da sempre caratterizzato le nostre realtà nazionali.
Un diritto che in generale curi gli spazi di libertà, portatori di innovazioni e sviluppo economico-sociale e, come si tenta di fare nel settore dei golden powers, settore complesso ed in evoluzione e che richiama studio e prudenza, o in materia di diritti dei consumatori o, ancora, di sostenibilità, che miri anche a promuovere quei delicati equilibri tra interessi contrapposti che vengono in gioco nella dialettica dei rapporti gius-economici.
È quindi chiaro che l’Unione europea non sono solo le istituzioni ma sono anche i singoli, gli operatori del diritto, le energie produttive, quella molteplicità di europei che contribuiscono a quel percorso di integrazione europea”
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– Professore Scarchillo, oltre ad insegnare all’università lei è soprattutto un autore, ha scritto diversi libri. Ci parla del suo ultimo saggio? Ha progetti campo?
“Volentieri. Ho recentemente avuto il piacere di pubblicare il volume “Class Action, dalla comparazione giuridica alla formazione del giurista: un caleidoscopio per nuove prospettive”, edito da Giappichelli.
Si tratta di uno studio dell’istituto della Class Action, attraverso le lenti della comparazione. Un tema che ha sempre solleticato un certo interesse in me e a cui avevo infatti dedicato altre pubblicazioni in passato, ma che ho ora voluto affrontare in uno scritto di più ampio respiro. Uno scritto che offrisse una più vasta panoramica comparatistica per il lettore.
Tocca infatti diverse aree geografiche e diversi sistemi come: Stati Uniti ed altri sistemi di common law, Europa continentale, ma anche America Latina e oriente. Se, infatti, nella precedente domanda ho posto l’accento sugli spazi di libertà dei singoli e sulla loro forza creativa e creatrice di opportunità e sviluppo, qua voglio aggiungere un aspetto: il legame tra le persone, lo spirito di solidarietà, lo spirito di far “causa comune” nelle avversità.
Si tratta, come noto, di uno strumento attraverso il quale uno o più individui possono iniziare un’azione legale per conto proprio e, nel contempo, chiedere che la causa sia condotta on behalf (per conto) di tutti i membri, quali soggetti danneggiati in un medesimo diritto dal comportamento di un terzo.
Ciò che emerge quindi con chiarezza in tale istituto è certamente lo spirito di condivisione di una condizione comune, che richiama una collaborazione ed un intervento congiunto di molti. Cioè di coloro i quali condividono quella data condizione. Sembra perfettamente in linea con i tempi che stiamo vivendo, peraltro.
Per cui, anziché agire in ordine sparso fronteggiando avversità troppo gravose o fronteggiando controparti troppo “forti”, ci si unisce per una causa comune.
Con la graduale diffusione di questo istituto dunque si sta superando la logica del “duello”, tipica di una certa tradizione giuridica occidentale, per favorire uno spirito di partecipazione volto a rafforzare la propria posizione che altrimenti, singolarmente, sarebbe scoraggiata. Ciò è particolarmente evidente se si considera la fitta rete di relazioni economiche che ciascuno di noi, specialmente come piccolo consumatore, può intrecciare in un mondo sempre più vasto e globalizzato in cui agiscono attori ben più grandi e forti di noi. In un mondo che quindi si infittisce di rapporti giuridici e di interazioni contrattuali all’interno di un mercato che corre, il diritto comparato dischiude davanti ai nostri occhi uno strumento che può contribuire alla ricerca di un equilibrio spesso non facile da trovare.
Ebbene sì, il diritto comparato gioca qui un ruolo fondamentale. Permette infatti di vedere la realtà, come uso dire io, attraverso un caleidoscopio (da cui il titolo del volume), poiché l’immagine si arricchisce di nuove prospettive che tengono conto delle diverse peculiarità di ciascun ordinamento. Per valorizzare dunque questi scarti (per dirla con il filosofo francese F. Jullien) tra ordinamenti e, soprattutto, per saperne trarre soluzioni innovative occorre però anche puntare sulla formazione, affinché si educhino dei giuristi in grado di individuare tali soluzioni, ma anche di valorizzare nella pratica quegli strumenti innovativi portatori di un effettivo cambiamento, che altrimenti, in assenza di tutto ciò, rimarrebbe lettera morta ed un mero esercizio scientifico.
Per quanto riguarda le news invece mi sto interessando di due tematiche, fra tutte. La prima è quella relativa al rapporto tra pandemie e diritto. In questi quasi due anni, oramai, di contesto pandemico, noi giuristi, in particolare come comparatisti, abbiamo avuto modo di riflettere abbondantemente su quali siano le implicazioni profonde delle pandemie sul fenomeno giuridico. Abbiamo imparato che non esiste, in buona sostanza, branca del diritto che non sia stata intaccata dagli stravolgimenti a cui abbiamo assistito. Se è vero poi, come da più parti si afferma, che staremmo entrando nella stagione delle pandemie: allora meglio non farsi trovare più impreparati, anche noi come giuristi!
La seconda è quella relativa all’oriente, alla Cina in particolare. Quel lontano oriente che non sembra più così lontano in questi tempi. Sia per i tempi cupi che stiamo vivendo e che ci hanno fatto condividere una comune sorte, sia per i complessi rapporti economici tra occidente e Cina, sia per la novità del Codice Civile Cinese che per il giurista costituisce un interessante punto di contatto con un’altra tradizione giuridica.
Anche qua, infatti, torna il tema degli scarti, delle diverse peculiarità. I punti di contatto, infatti, implicano una attenta osservazione delle diversità dei sistemi che si “toccano”. Si tratta di incontri, dunque, rispetto ai quali non si possono tralasciare secoli di tradizioni, usi e tratti culturali di varia natura.
Il bello dell’attività del comparatista è infatti comprendere, trovare soluzioni nuove, far dialogare ma non appiattire”
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– Una delle sue più grandi qualità, insieme alle doti comunicative, è il rapporto con i giovani. Quanto sono importanti per lei comunicazione e formazione per i giovani?
“Direi che sono fondamentali. Il rapporto docente-discente è centrale per un insegnante, è il punto focale del proprio ruolo, del proprio servizio all’interno della collettività, per la collettività.
È complicato, è una continua sfida. Specialmente in un mondo in continuo cambiamento, in cui i giovani hanno ogni anno qualcosa di diverso, dei tratti propri, sono in fin dei conti figli del loro tempo, come lo siamo tutti.
Il nostro diventa allora un lavoro, rectius, una missione, che si pone a cavallo del tempo, ed implica uno sforzo comunicativo che sia in grado di valicare il confine e l’ostacolo che il tempo può rappresentare. Ci impone di comprendere il cambiamento, le diversità tra le generazioni… anche questo dopotutto è operare da comparatisti.
Saper comunicare ai giovani significa riuscire a fornirgli gli strumenti per operare nel mondo. Ma significa anche incoraggiarli ad affacciarsi al mondo tramite i programmi di studio all’estero che oggi sono a loro disposizione, come ad esempio l’Erasmus, di cui mi onoro di esserne il responsabile scientifico all’interno della facoltà di Giurisprudenza all’Università di Roma La Sapienza e che costituisce una preziosissima occasione di crescita accademica e personale.
L’insegnante e i molteplici programmi di formazione, come quello appena menzionato, debbono fornire al futuro lavoratore (operatore del diritto nel nostro caso) degli strumenti tecnici, chiaramente, ma con la consapevolezza che con essi si opererà in un mondo fatto pur sempre di persone. La tecnica non potrà rimanere una “fredda tecnica” se si opera nella collettività.
Ciascuno deve raggiungere la consapevolezza dunque di poter “cambiare il mondo” ogni giorno, con ogni piccola o grande azione. Non è il compito di qualcun altro, ma di ciascuno.
In tale ottica l’insegnante non deve però fornire tutte le risposte, non dire cosa vedere, ma indicare dove guardare. Deve educare nel senso di e-ducĕre, tirar fuori l’adulto libero, poiché dotato degli strumenti di discernimento. Deve fornire, dunque, gli strumenti all’operatore giuridico consapevole di un mondo complesso.
Per questo è fondamentale fornire agli studenti quegli strumenti nuovi, capaci se implementati da tecnici consapevoli, di poter cambiare il nostro mondo. Ecco il perché dello studio della Società Europea, della Class Action, dei Golden Powers, del Partenariato Pubblico Privato, della Società Benefit e di tutti quegli strumenti che hanno bisogno di essere offerti alle studentesse ed agli studenti di oggi, motore pulsante di qualsiasi cambiamento, capaci di osare e di intravedere nuovi orizzonti dove le precedenti generazioni hanno tracciato confini”
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