Francia. La stampa domani in piazza per i colleghi di Gaza

di Daniela Binello

L’appello, sottoscritto dalla quasi totalità delle associazioni della stampa francese, è stato pubblicato un paio di giorni fa su Le Monde. Da Reporters sans Frontières ai sindacati dei giornalisti SNJ, SNJ-CGT e CFDT; dalla Fédération internationale des journalistes ad Arte; da AFP a Le Figaro; da France 2 e 3 a France 24; da Le Nouvel Observateur a Libération e Le Parisien, sono circa una trentina le testate, le agenzie e i comitati della stampa francese che aderiscono alle manifestazioni di solidarietà che si terranno in simultanea il 16 aprile alle ore 18. Appuntamento a Parigi di fronte all’Opéra Bastille e a Marsiglia al vecchio porto.

I giornalisti francesi intendono denunciare “un massacro di proporzioni senza precedenti” dei loro colleghi a Gaza, dove “quasi 200 professionisti dei media palestinesi” sono morti nel corso di “operazioni israeliane”. L’esercito israeliano sta cercando d’imporre il blackout mediatico a Gaza per mettere a tacere il più possibile i testimoni dei crimini di guerra commessi dalle sue truppe. Queste le parole che si leggono nel testo dell’appello.

Gli organizzatori dicono che: “Almeno quaranta di questi giornalisti, come Hossam Shabat, sono stati uccisi con penne, microfoni o telecamere in mano” e deplorano inoltre “la morte dei quattro giornalisti israeliani periti nell’attacco terroristico compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023, nonché quella di nove colleghi libanesi e di un collega siriano durante gli attacchi israeliani”.

Così come ai giornalisti stranieri non è permesso entrare nell’enclave dal 7 ottobre, è negato loro anche il diritto di entrare a Gaza per “trasmettere e proteggere, attraverso la loro presenza, i colleghi palestinesi che stanno dimostrando un coraggio incredibile”, si legge nell’appello.

Non è prassi comune che un giornalista scriva il proprio testamento a 23 anni. Eppure è ciò che ha fatto Hossam Shabat, corrispondente dalla Striscia di Gaza per il canale qatariota Al-Jazeera Moubasher. Il reporter, consapevole che i bombardamenti israeliani sul territorio palestinese avevano ridotto drasticamente l’aspettativa di vita dei suoi colleghi, aveva preparato un breve testo da pubblicare se gli fosse successo qualcosa. Sui social dello scorso 24 marzo è stato postato: “Se stai leggendo questo, significa che sono stato ucciso”. Così l’inizio del suo messaggio, in cui il giornalista ricordava le notti trascorse dormendo sul marciapiede, la fame che non smetteva mai di tormentarlo e la sua lotta per documentare gli orrori minuto per minuto. “Finalmente potrò riposarmi, cosa che non sono riuscito a fare negli ultimi diciotto mesi”, concludeva Hossam Shabat, ucciso dall’attacco di un drone israeliano contro l’auto su cui viaggiava, a Beit Lahia, nel nord di Gaza. Un veicolo su cui il nome della tv con il logo di Al-Jazeera erano ben visibili.
Nella storia della professione giornalistica in zone di guerra, anche considerando tutti i conflitti insieme, quello nella Striscia di Gaza è un massacro di portata mai vista prima, al punto che per i giornalisti palestinesi coprire la morte di un collega o di una persona cara è diventata una macabra routine. Ahmed Al-Louh, 39 anni, cameraman di Al-Jazeera, ad esempio, è morto in un attacco aereo mentre girava un reportage nel campo profughi di Nusseirat il 15 dicembre 2024. Ibrahim Mouhareb, 26 anni, collaboratore del quotidiano Al-Hadath, è stato ucciso dal fuoco di un carro armato il 18 agosto dello stesso anno, mentre documentava il ritiro dell’esercito israeliano da un quartiere di Khan Younès. Entrambi i giornalisti indossavano caschi e giubbotti antiproiettile, con la scritta Press per essere chiaramente identificati come professionisti dei media.

Altri giornalisti a Gaza sono morti nei bombardamenti all’interno delle loro case o delle tende dove si erano rifugiati con le famiglie, come decine di migliaia di altri gazawi. È il caso di Wafa Al-Udaini, fondatrice del collettivo di giornalisti 16 ottobre, uccisa in un attacco a Deir Al-Balah, il 30 settembre 2024, insieme al marito e ai loro due figli.

Ahmed Fatima è stato una figura di spicco della Gaza Press House, una Ong, sostenuta da donatori europei, che ha formato una nuova generazione di giornalisti. Il 13 novembre del 2023 un missile ha colpito il piano superiore dell’edificio in cui viveva con la moglie e il figlio di 6 anni a Gaza City. Ahmed Fatima prese in braccio il figlio, ferito al volto, e corse in strada per portarlo in ospedale. Aveva appena percorso cinquanta metri quando un secondo missile lo ha ucciso. Sei giorni dopo, il 19 novembre, anche il fondatore e direttore della Press House, Bilal Jadallah, morì quando un carro armato israeliano aprì il fuoco contro il suo veicolo.

Il giornalista Fadi Al-Wahidi, 25 anni, è paraplegico da quando un proiettile gli ha reciso il midollo spinale, il 9 ottobre 2024, mentre stava filmando l’ennesimo sfollamento forzato di civili. Wael Al-Dahdouh, noto corrispondente di Al-Jazeera a Gaza, ha appreso in diretta della morte della moglie e dei loro due figli in un attentato il 25 ottobre 2023.

L’emergenza oggi è a Gaza, spiega la stampa francese nell’appello di cui pubblichiamo uno stralcio: “Non dimentichiamo la situazione nella Cisgiordania occupata, dove tra pochi giorni commemoreremo il terzo anniversario della morte di Shireen Abu Akleh. Il corrispondente più importante di Al-Jazeera è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco a Jenin l’11 maggio 2022 da un soldato israeliano che non è stato ancora ritenuto responsabile del suo crimine. Hamdan Ballal, co-regista di No Other Land, vincitore dell’Oscar 2025 come miglior documentario, è stato aggredito dai coloni il 24 marzo 2025 e poi arrestato dai soldati sull’ambulanza che lo stava portando via per essere medicato. Come giornalisti, siamo impegnati per la libertà d’informazione. E’ nostro preciso dovere mostrare la nostra solidarietà ai colleghi palestinesi e rivendicare, ancora una volta, il diritto di entrare a Gaza. Non lo chiediamo perché pensiamo che la copertura mediatica di Gaza sia incompleta senza giornalisti occidentali, ma perché si tratta di proteggere con la nostra presenza i colleghi palestinesi che stanno dimostrando un coraggio incredibile, inviandoci immagini e testimonianze dell’incommensurabile tragedia in corso a Gaza”.

Fonte: Le Monde.