Gaiani, ‘Guerra in Ucraina, due anni e cinque fasi’

a cura di Gianluca Vivacqua –

Da inizio di un irresistibile Blitzkrieg putiniano a guerra ampiamente cecenizzata: è la parabola (discendente?) della guerra in Ucraina, che si trascina ormai stancamente da due anni senza che all’orizzonte si veda il benché minimo segnale di svolta. Del conflitto iniziato a fine febbraio ’22 tentiamo una periodizzazione con Gianandrea Gaiani, direttore del sito Analisi Difesa.

– Dottor Gaiani, a che punto siamo con la guerra in Ucraina? Quante fasi possiamo già individuare nel corso di essa?
Direi almeno cinque. Possiamo certamente parlare di una fase preliminare, da ambo le parti: a partire dalla primavera del 2021 e fino a metà febbraio 2022 i russi ammassavano sempre più truppe e mezzi militari intorno all’Ucraina e, nel contempo, attuavano esercitazioni intimidatorie; gli ucraini, intanto, si esercitavano a bombardare intensamente il Donbass, in vista di una possibile campagna di riconquista. La lunga stagione di incubazione del conflitto, iniziata nel 2014, volgeva al termine per lasciare spazio alla manifestazione vera e propria del conflitto stesso. Poi abbiamo la fase del blitz, in cui i russi, per un errore di calcolo dovuto forse a eccessiva presunzione, penetrano in territorio ucraino con forze davvero molto limitate per quello che era un fronte amplissimo (parliamo di non più di 180-190.000 uomini in tutto). Pensano di entrare a Kiev senza colpo ferire e che sia un gioco mettere Oleg Tsaryov al posto di Zelensky ma trovano che quest’ultimo gode già della protezione inglese. La terza fase scocca nell’aprile 2022, quando gli anglo-americani decidono che sia più utile continuare una guerra per logorare i russi anziché farla finire in base al piano di pace turco, che sembra mettere tutti d’accordo (ritiro dei russi dall’Ucraina in cambio del riconoscimento dell’autonomia del Donbass da parte di Kiev). In quel momento vediamo le truppe di Mosca ritirarsi da tutto il nord dell’Ucraina, per concentrarsi in Donbass (e rassegnarsi a una guerra di posizione), quelle ucraine iniziare a guadagnare terreno e a concretizzare una controffensiva. Essa prosegue e raggiunge il suo culmine nella fase successiva (giugno-novembre 2023), senza però riuscire a raggiungere anche i suoi obiettivi: i soldati di Zelensky, falliscono nell’intento di tagliare in due lo schieramento russo, arrivare al mar d’Azov e separare la Crimea dalla Russia. La quinta e ultima fase è quella che stiamo vivendo ora: possiamo farla iniziare già a settembre-ottobre 2023 e vede i russi avanzare metodicamente e lentamente su tutti i fronti tranne quello di Kherson, dove i contendenti sono separati dal fiume Dnepr. Si tratta di un’offensiva che per ora non sembra avere l’intenzione di creare sfondamenti né rapide conquiste di territori: appare piuttosto finalizzata a danneggiare le forze ucraine in campo, colpendone le retrovie e indebolendone le prime linee. I russi sanno perfettamente che il vero tallone d’Achille dell’esercito ucraino è il ricambio delle forze in campo: quelle, eroiche, che hanno fatto la campagna di primavera nel 2022 sono ormai logore, e non c’è la possibilità di sostituirle nell’immediato con truppe fresche. Al contrario l’esercito russo si è di recente rimpinguato con altri 500.000 volontari. Gli ucraini sono inoltre a corto di armi“.

– Alcuni temono una “saldatura” del conflitto ucraino con la guerra in Medioriente, e il “ponte” potrebbe essere il terrorismo di matrice islamica. Lei cosa ne pensa?
Non vedo una sostanziale connessione tra i due conflitti; parlerei, piuttosto, di un riflesso congiunto sull’Europa. Riguardo all’Ucraina, e dunque a una guerra che è alle sue porte e la sta danneggiando economicamente (si veda la rinuncia al gas russo, in quantità infinite e a buon mercato), fino a questo momento l’Europa non è riuscita a esprimere né una proposta militare né una diplomatica. Stessa impotenza e immobilità essa mostra nei confronti del conflitto mediorientale, altro scenario che la minaccia da vicino a livello economico (blocco delle navi nel Mar Rosso, penalizzazione dei porti del Mediterraneo, allungamento delle rotte delle navi che portano il gas liquido) senza contare naturalmente le implicazioni a livello di terrorismo. Per provocare la tempesta perfetta a danno dell’Europa mancherebbe solo che esplodessero nuovamente i Balcani! Un interessante spunto per istituire un parallelo tra le due situazioni belliche è stato offerto dallo stesso presidente ucraino Zelensky quando ha osservato che, proprio come l’Ucraina, anche Israele è un Paese non Nato aggredito; eppure, mentre quest’ultimo ha il diritto di ottenere che aerei americani, francesi e inglesi si levino in volo per difenderlo, la stessa cosa non è concessa al suo Paese. Ma le analogie, e le possibilità di incrocio, direi che si fermano qui. Da ultimo – ma non da ultimo – bisogna anche considerare che le potenze occidentali in fondo hanno paura di andare allo scontro diretto con Mosca“.