Gaza. Prosegue l’offensiva israeliana, centinaia le vittime. La diplomazia al lavoro, ma a qualcuno la crisi conviene…

di Guido Keller

gaza distruzione grandeProsegue l’azione di Israele su Gaza mietendo vittime spesso innocenti (solo ieri oltre 100 morti fra i palestinesi, mentre nelle file dell’esercito di Tel Aviv si registrano 18 vittime alle quali vanno sommati due civili; si porta così a 637 il numero dei morti palestinesi in 12 giorni, e a 4.500 quello dei feriti): le ultime notizie parlano di una famiglia composta da 9 persone, di cui 7 bambini, sterminata a Rafah, a sud della Striscia, di 16 vittime tra le macerie di una casa vicino Khan Yunis e di 11 a Sajaya, mente sono una decina i miliziani di Hamas uccisi dalle bombe mentre cercavano di entrare in Israele passando dai tunnel.
Intanto la diplomazia internazionale è impegnata in un lavoro frenetico per tentare di giungere a una tregua il più possibile duratura. Dopo l’incontro del leader dell’Anp Abu Mazen con il capo-ufficio politico di Hamas Khaled Meshal, che si è svolto a Doha, l’iniziativa è ora nelle mani del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, il quale è arrivato al Cairo per vedere il capo della diplomazia egiziana, Sameh Choukri, e il Segretario di Stato americano John Kerry. Già in mattinata sono stati diversi i paesi che hanno chiesto l’intervento di Ban Ki-moon, fra i quali il Kuwait, che senza mezzi termini ha parlato di mobilitare la comunità internazionale per “porre fine all’aggressione” di Israele alla Striscia, ma nel contempo di appoggiare la proposta di mediazione dell’Egitto, accettata da Israele, ma respinta da Hamas.
Per Ban Ki-moon quella egiziana resta una base su cui lavorare, anche perché è sostenuta da Abu Mazen, capo di al-Fatah e leader dell’Autorità nazionale palestinese, struttura alla quale da poco è entrata a far parte Hamas.
Anche dagli Stati Uniti, da sempre solidi alleati di Israele, è arrivata la condanna per quanto sta avvenendo a Gaza: il presidente Barak Obama, che pur ha sottolineato il “diritto di Israele di difendersi”, ha chiesto il cessate-il-fuoco e ha informato che “Il segretario di Stato, John Kerry, premerà in tal senso”, in quanto “Siamo preoccupati per il numero di morti civili, palestinesi e israeliani”.
E proprio al Cairo Kerry, allarmato per la situazione umanitaria (l’Unhcr ha calcolato in 100mila il numero dei profughi rimasti senza casa) ha annunciato che gli Usa verseranno 47 milioni di dollari in aiuti umanitari ai civili di Gaza, in quanto “Siamo molto preoccupati per le conseguenze dello sforzo appropriato e legittimo di Israele di difendersi”.
“Come sempre in ogni guerra ci sono preoccupazioni a proposito dei civili, dei bambini, delle donne e delle comunità coinvolte”, ha continuato Kerry. Dei fondi americani 15 milioni di dollari andranno alla Unrwa, l’agenzia palestinese per i rifugiati. Mentre i restanti 32 milioni arriveranno dalla Agenzia americana per lo sviluppo internazionale: dieci milioni sono già stati versati alla popolazione di Gaza anche se il dipartimento di Stato ha annunciato che saranno reindirizzati per far fronte ai bisogni immediati della popolazione.
Manifestazioni di condanna all’offensiva israeliana si registrano un po’ ovunque, persino a Tel Aviv, dove in 300 si sono ritrovati per chiedere la fine dell’operazione “Margine protetto”. A Parigi vi sono stati scontri fra i manifestanti filo-palestinesi e la polizia, una guerriglia urbana che ha portato a numerosi arresti. Ma a non essere andate giù a Tel Aviv sono state le manifestazioni in Turchia, considerata dal governo israeliano un paese sostenitore di Hamas: alcuni diplomatici turchi sarebbero stati espulsi.
La crisi di oggi, tuttavia, non appare improvvisata e certamente a qualcuno conviene. Ripercorrendo infatti le tappe degli ultimi tempi, si può notare che il lancio di razzi da Gaza è iniziato qualche giorno prima del sequestro e del brutale assassinio dei tre giovani seminaristi della scuola rabbinica di una colonia nei pressi di Gush Etzion: alla base vi sono sicuramente una molteplicità di fattori, primo fra tutti il fallimento delle trattative di pace promosse caparbiamente dallo statunitense John Kerry, in quanto gli israeliani si sono rifiutati di interrompere la proliferazione di alloggi nei territori occupati (il ministro dell’Edilizia, Uri Ariel, ne aveva annunciato la costruzione di altri 1500 a Gerusalemme est e in Cisgiordania), poi la sospensione della liberazione dei prigionieri politici, la mancata interruzione dell’embargo su Gaza e il rifiuto di disegnare i confini di quello che dovrebbe essere lo Stato palestinese.
Tutto questo ha portato all’alleanza fra al-Fatah e Hamas e alla firma di numerosi trattati internazionali (circa una sessantina) da parte dell’Anp, cosa che ha mandato su tutte le furie il premier Benjamin Netanyahu, per altro già in fibrillazione per l’interruzione dei rapporti delle aziende dell’Unione europea con le banche e le organizzazioni israeliane attive nei territori occupati.
Così, mentre la comunità internazionale spinge per la soluzione di “due popoli, due stati”, Israele spinge per uno stato ebraico al cento per cento, che gradualmente comprenda tutta l’area.