Gaza. Voci dall’altra sponda: intervista a Daoud Shihab, portavoce della jihad nella Striscia

di Saber Yakoubi –

Sono stati del tutto fisiologici, fino ad oggi, gli strali di Khaled Meshaal, il leader politico del partito di Hamas, nei confronti di Israele, come pure le continue minacce di guerra. Tuttavia ha fatto il suo effetto sentire le sue dure parole riecheggiare durante l’affollatissimo raduno di Gaza di pochi giorni fa, in occasione del 25esimo anniversario di fondazione del partito, appuntamento al quale Meshaal, che si trova in esilio in Giordania, non è voluto mancare.
Dal punto di vista politico il raduno di Gaza è stato molto importante, ben inserito nella soap opera israelo-palestinese, ma con influenze importanti sotto ogni profilo, compreso quello militare. Di certo la presenza di Meshaal, già vittima di un tentativo di avvelenamento ad opera di agenti del Mossad (si era salvato in extremis grazie all’intervento del re di Giordania e degli Stati Uniti), ha rappresentato un duro smacco per Israele se non addirittura, come ha spiegato uno dei leader dell’opposizione alla Knesset, il kadimista Shaul Mofaz, ‘una vittoria di Hamas su Israele’.
In questo scenario c’è tuttavia un anello mancante, ovvero la cosiddetta ‘Guerra degli otto giorni’ del novembre scorso, che ha avuto, fra i dolori che ha portato con sé, se non altro il merito di aver riunito per la prima volta tutte le frazioni palestinesi: l’unità di crisi e di intervento è stata diretta, specialmente per le trattative del Cairo, da Khaled Meshaal e da Ramadan Shallah, leader della jihad islamica, che tuttavia non era presente al il raduno di Gaza.
Per avere un quadro più preciso della situazione, Notizie Geopolitiche ne ha parlato con Daoud Shihab, portavoce della jihad islamica:
– Perché Saraya al-Quds, la brigata militare della jihad, ha chiamato “Cielo Blu” l’operazione della ‘Guerra degli otto Giorni’?
“Israele ha voluto fare un po’ di spettacolo e, evitando la solita conferenza stampa, ha dato annuncio il 14 novembre dell’imminente attacco, via Twitter. Un’ora dopo è stato ucciso da un missile sparato da un caccia Ahmed al-Jabari, capo militare di Hamas, ed ha scelto per l’operazione il titolo di ‘Colonna di nuvole’, con un’allusione a come Israele sarebbe in grado di trasformare il cielo di Gaza. In tutta risposta noi l’abbiamo chiamata ‘Cielo Blu’”.
– Voi avete criticato l’iniziativa di Abu Mazen ed il voto alle Nazioni Unite, ma ora la Palestina è riconosciuta come Stato, seppure osservatore non membro. Perché non avete condiviso la soddisfazione per il buon esito?
“E’ un punto su cui noi siamo sempre stati chiari: non è possibile andare alle Nazioni Unite e chiedere il 20% della nostra terra. Il nostro progetto è conosciuto da tutti, non è un mistero: la Palestina è dei palestinesi e nessuno può inventarsi una politica che non risponda a questo concetto. E’ comunque vero, il voto alle Nazioni Unite è significativo ed io ringrazio coloro che hanno riconosciuto il diritto dei palestinesi; ha lasciato l’amaro in bocca l’astensione della Gran Bretagna, che ha una responsabilità di ordine morale per quanto succede al nostro popolo: tutto è iniziato nel 1917, quando l’allora Segretario per gli Affari Esteri Britannico, il massone Arthur James Balfour, ha promesso la nostra terra agli israeliani, ovvero colui che non la possedeva l’ha regalata a chi non ne aveva diritto”.
– Tuttavia ora avete l’opportunità di denunciare, come nazione, le brutalità degli scontri ed accusare di crimini di guerra chi le commette…
“Israele si pone al di sopra di ogni legge e comunque c’è sempre il diritto di veto americano: noi cerchiamo di liberare la nostra terra, ma questi fattori ci sono di ostacolo. E’ vero, ora rientriamo in un contesto di esistenza legittima e ci verrà riconosciuto il diritto di difenderci in base alle leggi internazionali… malgrado ci venga negato il diritto di armarci”.
– Si parla di un raffreddamento dei rapporti fra voi e l’Iran per via delle diverse posizioni sulla Siria…
“L’Iran è un paese che ci ha aiutato quando tutto il resto del mondo, anche arabo, ci ha girato le spalle. Il rapporto permane ottimo, anche se in materia di Siria abbiamo pareri diversi”.
– Il vostro leader, Ramadan Shallah, non è potuto entrare a Gaza con Meshaal e si mormora della minaccia di Israele di interrompere la tregua nel caso ciò fosse avvenuto…
“Non posso ne’ negare, ne’ confermare. Posso solo dire che presto il capo della jihad islamica di Gaza rientrerà a Gaza”.
– Si può quindi dedurre che ci sono pareri contrari o malumori per un suo rientro. Forse perché più radicale rispetto al leader di Hamas?
“Noi non facciamo politica, e non usiamo discorsi a doppio senso: la lotta armata risponde ad una scelta strategica precisa. Shallah è nato e cresciuto a Gaza e presto vi farà ritorno: non importa che ne pensa Israele, l’importante è come lo vediamo noi, ovvero un grande leader impegnato a lottare per la nostra causa”.