Geopolitica del gas: il progetto Poseidon

di Dario Rivolta *

PipelineLa nuova guerra fredda, dichiarata si sa da chi ma non si sa perché, non sta arrecando soltanto danni alle esportazioni delle nostre aziende verso tutti i Paesi dell’Unione Euroasiatica (meno 18% nel 2014 rispetto all’anno precedente e un altro 30% in meno nei primi due mesi del 2015) ma ci sta penalizzando anche in altri settori. Ad esempio in quello energetico.
L’abbandono del progetto South Stream, annunciato da Putin lo scorso gennaio, ha costituito un grosso danno sia per la nostra ENI, importante partner finanziario, sia per la SAIPEM, che doveva realizzare tutto il gasdotto sotto il Mar Nero. Oggi, il nuovo obiettivo di chi vuole a tutti i costi che l’Ucraina resti transito obbligato per il gas russo destinato all’Europa centrale e del sud è diventato il progetto Turkish Stream. Il fuoco di sbarramento è già partito e sta mettendo a rischio un altro programma che pochi anni fa era stato benedetto e finanziato dalla stessa Unione Europea: l’interconnessione Turchia, Grecia, Italia (ITGI) e, in modo particolare, proprio il tratto chiamato Poseidon che unirebbe la Grecia al nostro Paese.
Che la diversificazione delle fonti energetiche sia un must per ogni Paese che possa permetterselo è più che condivisibile. Perché, però, si debba insistere a che sia l’Ucraina l’unico punto di passaggio del gas russo verso di noi è, economicamente, molto meno comprensibile. Questo paese instabile, con una pesantissima situazione economica, luogo di una lotta intestina tra una parte e l’altra del paese e soprattutto capace, come ha già fatto, di sottrarre illecitamente gas in transito nelle sue condutture è, oggettivamente, il meno adatto a garantire la sicurezza di quella parte del nostro approvvigionamento di gas che compriamo da Mosca.
Il progetto Poseidon era stato giudicato eccezionalmente positivo dall’Unione Europea solo pochi anni fa per almeno quattro motivi: 1) lo sviluppo economico della Grecia per le ricadute dall’attività di transito e per la distribuzione di gas in nuove zone; 2) l’incremento della concorrenza nel mercato finale del gas; 3) lo sviluppo di hub per il trading in Grecia e in Italia; 4) la possibilità di ricevere gas anche dal futuro gasdotto Eastmed che avrebbe convogliato fino a noi il gas dei giacimenti (recentemente scoperti) nelle acque cipriote e israeliane. Se realizzato, Poseidon costituirebbe per noi italiani la definitiva trasformazione in paese di transito, con i costanti benefici economici e politici che ne deriverebbero.
Poseidon, inoltre, ha un altro vantaggio teoricamente prioritario per l’Europa e cioè di non essere legato ad alcun produttore e di potersi approvvigionare da una qualunque fonte che arrivi fino in Grecia a secondo della convenienza di prezzo.
Non è la stessa cosa per il TAP (Trans Adriatic Pipeline) che passa dalla Turchia, entra per un breve tratto in Grecia, attraversa l’Albania e, sotto l’Adriatico, giunge fino a Brindisi. Anche questo gasdotto non può che farci del bene, ma il suo assetto proprietario sembrerebbe contrario a i dettami europei, poiché i suoi gestori e il fornitore della materia energetica sono pressoché gli stessi e cioè le grandi compagnie multinazionali e il giacimento azero di Shaz Deniz II che finanzia il 20% della realizzazione. Vien da domandarsi come mai i vertici europei, cosi solitamente attenti alle intromissioni di Gazprom, non abbiano suscitato problemi al coinvolgimento di SOCAR, la società produttrice azera, ma tant’é.
Il problema è che il TAP da solo non esaurisce ne’ la domanda potenziale ne’ è sufficiente a consentire a noi e alla Grecia di realizzare degli hub tali da portarci quei ritorni che l’accoppiamento dei due gasdotti, invece, garantirebbe.
I soci di Poseidon (la nostra Edison e l’ente del gas greco DEPA) non sono legati a un qualunque produttore e potrebbero quindi permettersi di comprare gas da dove meglio credono: dagli azeri, da Cipro, dal Kurdistan iracheno via Turchi, dall’Iran se fossero tolte le sanzioni e, ahimè questo sembra il problema, dalla Russia.
Ed è proprio la possibilità che tra i possibili fornitori ci sia Gazprom, qualora si realizzasse il progetto Turkish Stream, ad aver fatto partire gli attacchi americani. Non possiamo conoscere le forme di pressione su Grecia, su Turchia e Italia canalizzate negli incontri diplomatici e nei vari vertici, ma basta sentire quel che ha affermato la signora Robin Dubbigan (un alto funzionario americano del Dipartimento di Stato) in un recente incontro internazionale sull’energia, a Budapest. In modo netto ha dichiarato che Turkish Stream è un progetto inaffidabile e che il gasdotto Poseidon non è benvenuto, anzi che va affossato per non aiutare la Russia a “aggirare” l’Ucraina. A nulla è valso l’intervento del vice presidente di Edison Elio Ruggeri che ha ricordato come nei prossimi anni, in quel fazzoletto di terra dove s’incontrano Grecia, Turchia e Bulgaria, arriverà tanto e nuovo gas e che sarebbe un peccato se la Grecia e il nostro Paese non ne approfittassero adeguatamente.
Purtroppo tutti sappiamo che gli spazi di manovra dei nostri governi sono limitati e che, nonostante la Ue avesse a suo tempo finanziato lo studio di questo progetto e i ministri dei governi turchi, greci e italiani avessero firmato con squillare di fanfare accordi per l’ ITGI, le pressioni anti russe sono fortissime e, ancora una volta, potrà succedere che gli interessi del nostro Paese vengano subordinati a ragioni politiche che stentiamo a capire e non ci vengono nemmeno spiegate.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.