Turchia. Il doppiogiochismo di Erdogan su Gaza

di Shorsh Surme

L’incontro tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh a Istanbul ha messo alla luce i tentativi del governo turco di svolgere un ruolo crescente di mediazione sulla questione palestinese con Israele, per quanto le elezioni locali turche avessero indicato un deterioramento dell’Akp al potere.
Per Wolfango Piccoli, copresidente di TeneoIntelligence a Londra, l’incontro rientra nel tentativo di Erdogan di riposizionarsi come credibile difensore della causa palestinese dopo la recente sconfitta elettorale. “Ospitare il leader di Hamas probabilmente rafforzerà in occidente l’impressione che la Turchia sia nella migliore delle ipotesi un partner commerciale, non un alleato”, ha detto.
La Turchia non considera Hamas un’organizzazione terroristica, a differenza di Washington e Bruxelles. Il Paese ha anche fortemente criticato l’operazione militare israeliana a Gaza, che Erdogan aveva precedentemente descritto come un genocidio. Hamas ha stabilito una presenza a Istanbul nel 2011, anche se non allo stesso livello della sua sede politica a Doha.
Il governo turco è stato tra l’altro un importante donatore umanitario a Gaza insieme a diversi stati del Golfo, e ha aiutato attivamente diversi palestinesi di Gaza a ricevere cure mediche negli ospedali turchi. “Continuerò a difendere la lotta palestinese e a essere la voce del popolo palestinese oppresso finché Allah mi darà la vita, anche se sarò lasciato solo”, ha detto Erdogan nel suo discorso al Parlamento mercoledì scorso.
In una recente telefonata al leader di Hamas, Erdogan aveva espresso le sue condoglianze dopo che tre dei suoi figli erano stati uccisi in un attacco aereo israeliano a Gaza. “Israele sarà sicuramente ritenuto responsabile davanti alla legge per i crimini contro l’umanità che ha commesso”, ha detto Erdogan ad Haniyeh, secondo un rapporto dell’AFP.
Tuttavia, a proposito di diritti dell’uomo e delle genti, la Turchia da quasi 100 anni opprime i 20 milioni di curdi, come pure qualsiasi movimento o partito viene considerato terrorista, basti a pensare all’arresto di Salahattin Demirtas, ex presidente del partito curdo “Partito Democratico dei Popoli”.
Per Betul Dogan Akkas, professore assistente di relazioni internazionali presso il dipartimento di relazioni internazionali dell’Università di Ankara, data l’attuale fragile situazione di Gaza, c’è una significativa necessità degli sforzi di mediazione da parte del Qatar e della Turchia. “Con Haniyeh e altri funzionari con sede in Qatar, ora c’è un ufficio politico più efficace rispetto al passato. L’attuale equilibrio militare a Gaza è molto critico, sono messi alle strette a Rafah. D’altra parte Hamas ha bisogno di costruire un potere più strategico”, ha affermato. Il Partito Giustizia e Sviluppo di Erdogan, noto come AKP, è stato oggetto di pesanti critiche per il suo commercio fiorente e ininterrotto con Israele, anche durante l’offensiva militare a Gaza.
Il rivale islamista dell’AKP, il Nuovo Partito del Welfare o YRP, ha giocato questa carta durante le elezioni locali del 31 marzo, evidenziando l’incapacità di Erdogan di fermare i legami economici con Israele nonostante la sua dura retorica contro la leadership israeliana. Con le elezioni l’YRP ha vinto alcune amministrazioni locali precedentemente detenute dall’AKP.
Secondo i dati ufficiali le esportazioni turche verso Israele hanno superato i 5,4 miliardi di dollari nel 2023, rappresentando il 2,1% delle sue esportazioni totali.
Il 16 aprile Erdogan ha paragonato Hamas ai combattenti per l’indipendenza turchi che resistettero agli occupanti stranieri durante la liberazione del paese e la fondazione della moderna Repubblica turca nel 1923. I suoi commenti sono stati visti come uno degli avalli più sfacciati da parte del leader turco dall’inizio della guerra in ottobre.
Secondo Piccoli, sebbene tali parole possano funzionare bene con il pubblico interno, è improbabile che siano benvenute nelle capitali occidentali, inclusa Washington. Il 9 maggio Erdogan effettuerà la sua prima visita ufficiale negli Stati Uniti dall’elezione del presidente Joe Biden nel 2020. Si prevede che la causa palestinese sarà presente nei colloqui.