Sudan. Il ruolo dei paesi arabi affamati di oro

di Giuseppe Gagliano

Rimane drammaticamente difficile la situazione in Sudan, dove da mesi le Forze armate sudanesi si fronteggiano con le Forze per il sostegno rapido. Nonostante i diversi tentativi di mediazione, al momento non si è arrivati ad alcuna soluzione del conflitto con conseguenze drammatiche per la popolazione: vi sono infatti ben otto milioni di sfollati. Questo genere di conflitti interni devono essere inquadrati in un contesto più ampio. Dal momento che il Sudan si affaccia sul Mar Rosso, la sua posizione geografica è di grande rilevanza, per cui i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo hanno stretti rapporti commerciali con il Sudan. Nello specifico i maggiori investitori arabi sono da un lato gli Emirati Arabi Uniti e dall’altro l’Arabia Saudita. A partire dal 2019 entrambi i paesi arabi hanno sostenuto il governo del Sudan versando ben tre miliardi di dollari. L’anno successivo gli Emirati Arabi Uniti hanno aumentato gli investimenti arrivando fino a 6 miliardi di dollari. Questo stanziamento considerevole ha come scopo principale quello di costruire l’infrastruttura portuale di Abu Amama e una infrastruttura stradale di circa 500 km.L’Arabia Saudita ha invece investito 3 miliardi di dollari nel settore minerario.
Tuttavia la cooperazione con i paesi del Golfo ha lasciato il passo alla marcata competizione tra Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, con Abu Dhabi che ha finito per intessere relazioni sempre più strette con le Forze per il sostegno rapido (Rsf), guidate dal generale Mohammed Hamdan Dagalo, detto Hemedti. Non deve sorprendere questa scelta di campo: il generale infatti aveva aiutato gli Emirati Arabi Uniti a combattere i ribelli yemeniti e a sostenere in Libia Khalifa Haftar.
Con il conflitto interno in Sudan i paesi arabi hanno preso posizioni differenti: Riad per esempio ha cercato di assumere un atteggiamento di mediazione, mentre invece Abu Dhabi ha aumentato il supporto alle Forze per il sostegno rapido. L’apice di questo supporto militare è stato raggiunto il 2023, fatto non soltanto dalle armi tradizionali, ma anche dai droni che ormai sono uno strumento sempre più usato nelle guerre.
Esiste tuttavia un legame più sottile tra gli Emirati Arabi Uniti e il generale Hemedti, fondato su una delle risorse più antiche dell’Africa e cioè sull’oro. La guerra che infatti il generale attualmente sta conducendo in Sudan è in parte finanziata grazie all’estrazione dell’oro, resa possibile anche grazie alla collaborazione con Africa corps e cioè con l’ex gruppo russo Wagner. La Russia tra l’altro utilizza l’estrazione del metallo prezioso per finanziare la guerra in Ucraina.
In linea di massima il generale Hemedti controlla tutte le più importanti miniere di oro del Sudan. Ma accanto ai paesi arabi vi è un altro giocatore in questa complessa scacchiera, ed è l’Iran, che però sostiene le forze armate sudanesi alle quali ha consegnato droni e armi. Naturalmente il sostegno dell’Iran è frutto del sostegno a tutte le milizie filo-iraniane presenti sul Mar Rosso e sul Mediterraneo.
Accanto all’Iran l’Egitto svolge un ruolo tutt’altro che marginale, appoggiando le Forze armate sudanesi. Negli anni passati sono state condotte diverse esercitazioni militari congiunte.
Ancora una volta tali relazioni bilaterali giocano un ruolo rilevante, dal momento che l’Egitto infatti è uno dei principali acquirenti dell’oro proveniente dalle miniere del Sudan. Se fino a questo momento i tentativi statunitensi ed europei per giungere una mediazione tra le parti non hanno trovato soluzione, ciò lo si deve ai paesi arabi era alla loro influenza economica sia sugli Stati Uniti che sull’Unione Europea.
I paesi del Golfo quindi non hanno alcuna intenzione di trovare una soluzione al conflitto nell’immediato, dal momento che sono in forte competizione anche per la sfruttamento delle risorse.