Gerusalemme e la condanna di Ryad. Ne parliamo con Faisal Hanef al-Kahtani, incaricato presso l’ambasciata saudita

a cura di Vanessa Tomassini

“L’Arabia Saudita ha espresso con chiarezza la sua ferma condanna e il suo profondo rammarico per la dichiarazione degli Stati Uniti su Gerusalemme. Il Regno ha invitato l’amministrazione statunitense a revocare la sua decisione, che oltre a violare le pertinenti risoluzioni Onu e il diritto internazionale, pregiudica il processo di pace e mina il tradizionale ruolo di mediatore degli Stati Uniti per raggiungere una giusta soluzione per la causa palestinese, in linea con l’Iniziativa di Pace Araba e le relative risoluzioni internazionali. Abbiamo assunto questa posizione sin dall’inizio, avvertendo l’amministrazione statunitense che questa decisione è un affronto per ogni musulmano, non ha fondamento legale e deve essere annullata. La nostra posizione è stata ribadita alla riunione dei ministri degli Esteri della Lega Araba al Cairo e al Summit di Istanbul”. A dirci questo è il ministro plenipotenziario, Faisal Hanef al-Kahtani, incaricato d’affari presso la Reale ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma, a cui abbiamo chiesto di commentare la recente scelta del presidente americano, Donald Trump, su Gerusalemme Capitale.

– È vero che l’Arabia Saudita a novembre ha offerto alla Palestina due mesi di tempo per accettare una proposta che prevede il villaggio di Abu Dis come capitale di un nuovo Stato palestinese? Ci può parlare di questo progetto?
“La posizione dell’Arabia Saudita in merito alla questione palestinese è inamovibile ed è basata su un saldo e costante sostegno al popolo palestinese per la realizzazione dei suoi diritti legittimi e per la creazione di uno Stato della Palestina, con Gerusalemme Est come capitale. Sosteniamo i diritti dei nostri fratelli palestinesi sin dai tempi del fondatore del Regno, il re Abdulaziz bin Abdulrahman al-Saud, e pertanto non abbiamo mai dettato o proposto alcuna soluzione alternativa alle loro legittime aspirazioni”.

-La protesta maggiore nel mondo arabo è giunta dal presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, che è arrivato a minacciare la chiusura delle relazioni con Israele. Come vede questa reazione? È giusto pensare che Erdogan stia cercando di arrivare ad una leadership del mondo sunnita in Medio Oriente?
“La causa della Palestina e di al-Quds Al-Sharif (Gerusalemme, ndr.) è centrale per tutti i musulmani di tutte le confessioni islamiche. Essa è una priorità nella politica estera del Regno ed è la ragione per cui l’Arabia Saudita non ha relazioni con Israele. La causa palestinese è anche la principale ragione che ha portato all’istituzione dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC), che ha sede a Jeddah e annovera tra i suoi 57 membri sia i paesi a maggioranza sunnita che sciita. Il recente vertice dell’OIC di Istanbul ha rilanciato l’impegno per i valori alla base dello Statuto dell’Organizzazione, della carta delle Nazioni Unite e per i principi del diritto internazionale e ha altresì sottolineato l’importanza di sviluppare un’azione congiunta con tutti i partner internazionali che condividono le opinioni e le idee dei paesi islamici sulla questione palestinese. Il Regno ha apprezzato l’iniziativa del presidente Erdogan di convocare e ospitare il vertice di Istanbul”.

Faisal Hanef al-Kahtani.

– Come vede l’Arabia Saudita la proposta europea di una soluzione a due Stati del conflitto israeliano-palestinese, con Gerusalemme capitale di entrambi? La gestione di ogni conflitto passa attraverso il compromesso, dove ciascuna delle due parti deve cedere qualcosa. Cosa devono cedere gli israeliani e cosa i palestinesi per il riavvio di un vero processo di pace?
“Il mio paese ha presentato un’iniziativa di pace adottata dal vertice della Lega Araba di Beirut nel 2002, che ha in seguito ottenuto l’approvazione del mondo islamico nel vertice straordinario dell’OIC del 2005 tenutosi a La Mecca. Tale iniziativa, chiamata Iniziativa di Pace Araba, ha tracciato una road-map per una soluzione definitiva alle questioni relative al conflitto israelo-palestinese, nel quadro della soluzione dei due Stati, con il ripristino dei confini del 1967 e il riconoscimento di Gerusalemme Est come capitale, in conformità con le pertinenti risoluzioni di legittimità internazionale. L’aspirazione ad uno stato indipendente e sovrano della Palestina sulle basi di cui sopra, non può essere derogata in quanto è un prerequisito per la pace e la sicurezza nella regione. I diritti storici del popolo palestinese riguardo a Gerusalemme non possono essere modificati, né è possibile imporre nuove realtà”.

– Quali scenari si apriranno ora?
“Spero che prevalgano il buon senso e la logica. Il riconoscimento dello stato della Palestina e di Gerusalemme Est come capitale occupata è un prerequisito per raggiungere la riconciliazione nella regione, sulla base del rispetto reciproco e dello spirito di solidarietà nazionale. Condivido le speranze e lo spirito del recente summit di Istanbul, in cui è stato lanciato un appello a tutti gli Stati che ancora non hanno riconosciuto lo Stato di Palestina, proclamato nel 1988, a prendere azione in tal senso, e all’amministrazione Trump affinché revochi la sua decisione illegale, che causerebbe il caos nella regione”.