Gorbaciov: l’ambasciatore Vattani, ‘lo si può accostare a figura di Napoleone III’

a cura di Carlo Rebecchi

L’eco internazionale della morte di Michail Gorbaciov non è destinata a spegnersi dato il rilevante ruolo che ha avuto nella storia. E questo nonostante che nel suo Paese si cerchi di tenerlo in un cono d’ombra, a continuare a dimenticarlo. Solo l’occidente può ridare valore storico e politico all’ultimo presidente dell’URSS. Già consigliere diplomatico dei presidenti del Consiglio Ciriaco De Mita prima e Giulio Andreotti subito dopo, negli anni della glasnost e della perestroika, l’ambasciatore Umberto Vattani, colonna portante per anni della diplomazia italiana, è stato infatti il “canale di dialogo” tra il governo italiano, convinto sostenitore delle riforme che andavano fatte nell’URSS, e il Cremlino, allora guidato da Mikhail Gorbaciov. L’ambasciatore Vattani è tuttora in contatto con Pavel Palazhchenko, interprete dell’ultimo presidente dell’URSS e oggi direttore della comunicazione della Fondazione Gorbaciov.
Il Giornale Diplomatico ha intervistato l’ambasciatore Vattani, che tra l’altro è stato anche segretario generale della Farnesina e presidente dell’ICE Agenzia e ora presidente della Venice International University.

– Ambasciatore Vattani, che effetto le fanno le reazioni alla morte del presidente Gorbaciov che mise fine alla Guerra Fredda?
“L’occidente applaude Gorbaciov, ma in Russia il giudizio popolare è e resta impietoso: Gorbaciov è considerato l’apprendista stregone che, lanciando il progetto di perestroijka e glasnost, ha portato alla riunificazione della Germania, alla caduta di tutti i regimi comunisti centro-europei; lasciando il suo Paese, la Russia, indebolito e ridimensionato, non più una ‘grande’ potenza, ma ridotto al rango di una media potenza”.

– Cosa dirà la storia di Gorbaciov?
“Credo si possa accostare Gorbaciov alla figura di Napoleone III. Un altro apprendista stregone che, appoggiando la lotta delle nazionalità per l’indipendenza, ha finito con il far nascere accanto alla Francia due grandi Paesi, l’Italia e l’impero tedesco, dove prima c’era soltanto un mosaico di principati e granducati. Gli italiani devono ringraziare Napoleone III. Per la Francia però è stato un disastro, prima di concludere la sua traiettoria con la sconfitta di Sedan”.

– Il crollo dell’URSS era inevitabile?
“Gorbaciov non poteva non sapere che il sistema economico sovietico, gravato da inefficienze e corruzione, era ormai in una crisi gravissima. E si rendeva conto, come Pietro il Grande tre secoli prima, che l’unica via da percorrere per evitare il collasso totale era di raggiungere l’Occidente. Si trattava di cambiare strada, rialzarsi e raggiungere sul piano dell’economia e livelli dell’occidente”.

– L’Italia gli è stata vicina…
“Certamente. E Gorbaciov ascoltava i suoi interlocutori italiani. Un aneddoto. Nel 1989, durante la visita del presidente del Consiglio Ciriaco De Mita a Mosca, Gorbaciov chiese a Romano Prodi, allora presidente dell’IRI, se poteva dirgli in due parole la differenza tra regime comunista e regime capitalista. Prodi, sorridente, gli risposte: “Lei è cacciatore. Quando va a caccia, corre più veloce il suo cane o la lepre?”. E alla risposta di Gorbaciov “la lepre”, replicò: “Ebbene, lei si è dato da solo la risposta. La lepre lavora per sé stessa, il cane per il padrone””.

– Le sue richieste di aiuto non furono però molto ascoltate…
“Gli appelli di Gorbaciov furono compresi soltanto da Andreotti, da Mitterrand e, in larga parte, dal cancelliere Kohl. Si scontrarono invece con l’opposizione degli Stati Uniti, del Regno Unito e del Giappone. Gorbaciov fece notare in più occasioni, che il percorso di riforme era essenziale, altrimenti la perestroika avrebbe potuto degenerare in qualcosa di molto negativo. La risposta di Bush a Gorbaciov al vertice del G7 di Londra fu sferzante: “Ritardare gli aiuti stimola ad impegnarci di più nelle riforme. Il salvagente va gettato solamente quando è strettamente necessario. Se puoi nuotare devi farlo”.

– Anche Mitterrand, Andreotti e Kohl in quel vertice attirarono l’attenzione sugli effetti negativi di un mancato aiuto all’URSS.
“Sì. Andreotti sottolineò con forza che in caso di fallimento della perestroika si sarebbe potuto avere un periodo di instabilità e turbolenze tali da condurre all’arrivo di un “duro” sulla scena politica di Mosca. Lo stesso Gorbaciov, in un incontro con esponenti politici americani, del resto mise in guardia dall’umiliare una nazione “senza pensare che vi saranno delle conseguenze””.

– Timori che sono stati poi confermati dagli sviluppi politici.
“Ad un certo punto Gorbaciov capì in che posizione difficile si era messo. Voleva le riforme per migliorare le condizioni di vita dei russi e, invece, i risultati non ne arrivavano. Il suo obiettivo della “Casa comune europea”, riedizione aggiornata del Concerto delle Nazioni di Pietro il Grande tanto sostenuta da Giulio Andreotti, si è rivelato irraggiungibile proprio quando sembrava ormai cosa fatta. Una “casa comune” non in contrasto con gli americani, dato che della CSCE facevano parte anche gli Stati Uniti e il Canada.
Negli ultimi anni ha parlato, e sempre meno, soprattutto attraverso i suoi silenzi. In una delle ultime uscite pubbliche, tra amici, ha recitato a memoria alcuni versi di una poesia del poeta russo Mikhail Lemontov, nei quali si indovina tutto il peso delle delusioni: “Nulla più aspetto dalla vita e nulla rimpiango del passato. Cerco solo libertà e pace. Vorrei abbandonarmi, addormentarmi ma non nel freddo sonno della tomba””
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Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.