Haiti. Il paese collassa, il mondo sta a guardare

di Francesco Giappichini –

«Alcuni considerano una forza multinazionale una panacea, quando la storia dimostra che tali interventi stranieri hanno fatto più male che bene ad Haiti». Sono le parole che Dmitry Polyanskiy, Primo vice rappresentante permanente della Russia nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, ha pronunciato durante l’ultima sessione dell’organo. A suo giudizio dovrebbero essere ascoltate anche le voci che sostengono opzioni diverse, per contrastare la crisi della sicurezza che sconvolge Haiti. Una dichiarazione cui ha fatto eco l’ambasciatore Zhang Jun, rappresentante permanente della Cina presso l’Organizzazione delle Nazioni unite (Onu): «Abbiamo sentito molti discorsi di sostegno a quella forza, ma nessun paese ha annunciato azioni concrete, quindi sembra che saranno necessari studi più approfonditi prima di raggiungere una proposta praticabile».
Questi, dopo aver rimarcato che sono gli haitiani a dover decidere il proprio destino, ha sollecitato un’analisi più approfondita; al fine, anche in questo caso, di valutare delle alternative, rispetto al dispiegamento di forze straniere. Nel corso della riunione, il ministro degli Esteri haitiano, Jean Victor Généus, aveva di nuovo invocato una «robusta forza internazionale» d’intervento. Una richiesta comunque condivisa dalla maggioranza del Consiglio, e che è in linea con l’appello (più volte ribadito) del segretario generale delle Nazioni unite, António Guterres. Questi ha invocato la necessità immediata di una forza militare straniera, che contrasti le bande armate: non dovrebbe trattarsi di Caschi blu, di una missione politica o militare delle Nazioni unite, ma di una «solida forza multinazionale, dispiegata dalla comunità internazionale», e che sappia operare «fianco a fianco con la Polizia haitiana».
Il piano di Guterres per fronteggiare il collasso dello Stato haitiano pare tuttavia naufragato. E non solo per il prevedibile veto russo, nel caso di un voto: ma anche perché nessun Paese si è fatto sinora avanti, per guidare l’ipotetico contingente militare, che dovrebbe supportare la Police nationale d’Haïti (Pnh). Frattanto la situazione dell’ordine pubblico è fuori controllo, e non è più neppure sufficiente parlare di «narco-caos»: alle lotte per il territorio tra le gang si è aggiunta l’offensiva dei gruppi di autodifesa, dei sedicenti «justicier». E la stessa María Isabel Salvador, la Speciale rappresentante Onu per Haiti, ha dichiarato che questo «emergere di gruppi di vigilantes autoproclamati aggiunge un nuovo livello di complessità. Da aprile, Binuh (Bureau intégré des Nations unies en Haïti) ha contato almeno 264 presunti membri di bande uccisi da gruppi di vigilantes autoproclamati».
In definitiva, per chi confidava in una svolta, la delusione è stata cocente. Luglio era stato infatti annunciato come il «mese decisivo per il futuro di Haiti»: con la suaccennata sessione del Consiglio di sicurezza, preceduta sia dalla visita lampo di Guterres ad Haiti, sia dalla partecipazione del segretario di Stato, Antony Blinken, al summit della Comunità caraibica (Caricom), che si è svolto a Port of Spain in Trinidad e Tobago. Questi nell’occasione ha sì chiesto «che la comunità internazionale si unisca a sostegno di Haiti»; e ha, beninteso, sostenuto la richiesta del governo haitiano di una forza multinazionale. Tuttavia, non ha dato alcuna indicazione su quale Paese potrebbe guidare questo contingente, lasciando dunque intendere che gli Stati Uniti, per ora, si rifiutano di farlo.