Haiti. Le quattro cause della nuova deriva

di Francesco Giappichini –

Chi da anni osserva il caos che travolge Haiti potrà notare, da qualche settimana, un’ultima deriva. Siamo innanzi a una crisi umanitaria che va al di là della violenza delle gang, che da anni funestano il Paese, o di un mero allarme per l’ordine pubblico (si è dichiarato lo stato di emergenza). E gli analisti, se costretti a schematizzare per rendersi comprensibili, identificano quattro radici, alla base dell’ulteriore passo verso l’abisso. La prima ragione ha a che vedere col vuoto di potere, e con la conseguente volontà delle gang – le autorità de facto nelle zone che controllano – di creare un fronte comune contro lo Stato, per metterlo in ginocchio. Lasciando ovviamente da parte le loro rivalità.
Si cerca cioè di approfittare del calo di popolarità del presidente e premier provvisorio, Ariel Henry; che non è stato eletto e conserva il potere dal luglio ’21, quando fu assassinato l’ex capo dello stato Jovenel Moïse. Mentre l’obiettivo a lungo termine, dopo aver rovesciato lo stesso Henry, è porsi come interlocutori, quando si tratterà di rifondare la Nazione. Il secondo motivo dell’escalation risiede in un evento di attualità: si è approfittato del viaggio di Henry a Nairobi. In Kenya il presidente ad interim ha firmato un accordo con l’omologo William Ruto, affinché mille agenti della polizia keniana possano aiutare quella caraibica a contrastare la violenza. Il piano, peraltro contestato anche in Africa, ha invero provocato reazioni contrastanti, presso quel che resta della società civile haitiana: accanto agli entusiasti, vi è infatti che è convinto che non vi sarebbe nessun bisogno di un intervento straniero.
Resta tuttavia l’evidenza che non solo l’inizio degli attacchi coordinati ha coinciso con lo sbarco del primo ministro a Nairobi; ma che il volo presidenziale di ritorno è dovuto atterrare a Porto Rico, poiché l’Aeroporto Toussaint Louverture di Port-au-Prince era sotto attacco delle pandilla. Una terza ragione che spiega la spirale di violenza, riguarda la disparità delle forze in campo. Nel corso del 2023 la Police nationale d’Haïti (Pnh) si è, infatti, ridotta a sole 9000 unità: un numero esiguo per un Paese di oltre 11 milioni di abitanti, mentre secondo le Nazioni unite sarebbero necessari 26mila effettivi. Insomma sarebbe stata raggiunta la massa critica dopo che le 200 gang, sempre più arricchite dai traffici con gli Stati Uniti, si sono alleate tra loro.
Senza considerare che hanno potuto arruolare tra i 4700 detenuti, che sono stati liberati nei recenti assalti ai due più grandi penitenziari del Paese. La quarta causa dell’intensificazione del caos è più mediatica, ed ha a che vedere con la personalizzazione del conflitto, e con l’emergere di una sorta di leader delle rivolte. È, infatti, ormai venuta a galla la figura di Jimmy “Barbecue” Chérizier: il 46enne ex poliziotto, che usa i social network per arruolare, è sanzionato dalle Nazioni unite, e proviene dalla potente gang “G-9 an fanmi” (“La famille G9”), si dice un rivoluzionario. E minaccia la guerra civile se il presidente non si dimetterà: «Chiediamo alla Polizia nazionale haitiana e all’esercito di assumersi le proprie responsabilità e arrestare Ariel Henry. Ancora una volta, la popolazione non è il nostro nemico; i gruppi armati non sono vostri nemici». Il rivoltoso comunque assicura che il soprannome gli deriva dal lavoro della madre, che vendeva pollo per strada; e non dall’abitudine, come assicurano alcuni, di bruciare case e corpi delle sue vittime.