Honduras. Castro, due anni in chiaroscuro

di Francesco Giappichini

Il 27 gennaio l’entourage del governo progressista dell’Honduras, che è guidato dalla presidente Xiomara Castro, celebrerà i due anni, ossia la metà, del proprio mandato. E i media mondiali approfittano della ricorrenza, per esprimere un giudizio sul ritorno della sinistra al potere nel caotico Paese centramericano. Castro del resto si è insediata, con la vittoria elettorale del novembre 2021, con un unico obiettivo: riscattare l’esperienza del marito ed ex presidente Manuel Zelaya, deposto dal golpe militare, o meglio dalla cialtronaggine militare, del giugno 2009. Diciamolo subito: i risultati della sua amministrazione sono in chiaroscuro, contrastanti; e lo stesso indice di gradimento è modesto, aggirandosi attorno a quota 36 per cento.
Qui ci chiederemo quindi in cosa ha fallito l’esecutivo Castro, quali sono state le promesse insoddisfatte, le aspettative deluse. In primis va segnalata l’incapacità di ridurre gli indici di povertà estrema, ma rileva altresì il velleitarismo riguardo alla difesa dei diritti civili. Lo spiega bene l’organizzazione non governativa belga, International crisis group (Icg): il «governo di Castro sta trovando difficoltà a mantenere le sue promesse progressiste e gli impegni presi durante la sua campagna elettorale, in particolare su questioni relative al genere – l’aborto rimane totalmente vietato – o alla protezione delle popolazioni indigene e afro-discendenti». Del resto la proibizione di aborto e matrimoni egualitari è imposta dalla Costituzione, e il governo non dispone della maggioranza qualificata, nel Congreso nacional, per apportarvi modifiche.
Anzi, i dissidi interni tra Castro e il vicepresidente Salvador Nasralla, che ha riesumato il suo Partido Salvador de Honduras (Psh), privano de facto l’amministrazione di una maggioranza parlamentare. Inoltre sarebbe stata disattesa la promessa di limitare le attività minerarie inquinanti, mentre all’opposto proseguono le violenze contro gli ambientalisti. Capitolo a parte, l’ordine pubblico. Il governo di Tegucigalpa è stato accusato di aver ceduto alle politiche repressive, alle controverse “medidas drásticas”: ovvero di aver ordinato un’offensiva contro le pandilla, simile a quella attuata dal presidente di El Salvador Nayib Bukele. Si è così riproposta la polarizzazione tra chi esalta queste misure, e chi le bolla come una violazione dei diritti umani.
Beninteso, la “presidenta” può vantare risultati concreti e successi in più settori. Si pensi all’aumento del bilancio sanitario, e al mega progetto di elettrificazione nelle zone rurali, che ha beneficiato un milione e 300mila famiglie povere. Le presidenziali del novembre 2025 si annunciano quindi molto incerte, sebbene dovrebbe riproporsi lo scontro tra la sinistra governativa del partito Libertad y refundación (Libre), e le destre riunite attorno al Partido nacional de Honduras (Pnh). Anche il citato Nasralla (ufficialmente, il designado a la presidencia de la República) potrebbe tuttavia candidarsi, trasformandosi in ago della bilancia. Ha già dichiarato di non condividere la visione ideologica della Castro, nonostante sia il suo vice, e di voler rappresentare un’opzione più moderata e rinnovatrice: una giravolta rispetto alle elezioni del 2017, quando la sua strenua contrapposizione al conservatore Juan Orlando Hernández, alla fine eletto presidente, lo consacrò campione delle sinistre. A passarsela peggio è però lo stesso Hernández, da mesi detenuto negli Stati Uniti con l’accusa di narcotraffico.