Il “buco nero legale” di Guantanamo

di C. Alessandro Mauceri

Dopo gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, il 14 settembre dello stesso anno il Congresso USA aveva approvato l’AUMF, l’autorizzazione all’uso della forza militare. Quel documento permetteva al presidente di usare la forza contro nazioni, organizzazioni o persone che, secondo il suo esame, avessero pianificato, commesso o favorito gli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Ufficialmente lo scopo di questo modo di fare durante la presidenza Bush era quello di ottenere informazioni d’intelligence anche a costo di violare i diritti umani dei detenuti. Il 10 gennaio 2002 vennero rinchiusi nella prigione di Guantanamo i primi prigionieri. Lo stesso anno cominciarono a circolare fotografie (peraltro attendibili visto che erano rilasciate dalle autorità) che ritraevano detenuti della base di Guantanamo inginocchiati, incatenati, ammanettati e bendati. Sottoposti a trattamenti disumani solo perché “sospettati” di avere contatti con al-Qaeda. Il potere senza limiti (geografici o di tempo) concesso al presidente Usa venne confermato e ampliato nel 2012: venne permessa anche la detenzione senza processo fino alla fine delle ostilità.
Nei giorni scorsi, in occasione del 20mo anniversario dell’inizio delle detenzioni a Guantanamo, un gruppo di esperti indipendenti nominati dal Consiglio dei diritti umani OHCHR dell’ONU ha pubblicato un documento nel quale viene condannata aspramente la violazione dei diritti umani per centinaia di prigionieri. Nel loro rapporto finale Fionnuala Ní Aoláin, relatore speciale sulla promozione e la protezione dei diritti umani nella lotta al terrorismo, Elina Steinerte, Miriam Estrada-Castillo, Leigh Toomey, Mumba Malila, Priya Gopalan del gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria, Nils Melzer, relatore speciale sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, Siobhán Mullally, relatore speciale sulla tratta di persone, in particolare donne e bambini, Morris Tidball-Binz, relatore speciale sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, Luciano Hazan, Aua Baldé, Tae-Ung Baik, Gabriella Citroni, Henrikas Mickevičius del gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate o involontarie e Tlaleng Mofokeng, relatore speciale sul diritto alla salute fisica e mentale, accusano senza mezzi termini gli Usa di “vent’anni di pratica della detenzione arbitraria senza processo, accompagnata da torture o maltrattamenti: fatti semplicemente inaccettabili per qualsiasi governo, in particolare per un governo che ha la pretesa dichiarata di proteggere i diritti umani”.
In vent’anni sono stati oltre 700 i prigionieri rinchiusi a Guantanamo. Ne rimangono “solo” 39. Ma la loro condizione e il modo in cui sono trattati non è cambiato: secondo gli esperti dell’OHCHR, di loro solo nove sono stati formalmente accusati o condannati per crimini. Altri 13 sono stati assolti, ma restano rinchiusi lì. Dieci detenuti, arrivati a Guantanamo tra il 2002 e il 2004, avrebbero dovuto essere rilasciati da tempo, ma dopo tutti questi anni sono ancora lì, ufficialmente, in attesa di uno stato che li accolga. Nove detenuti sono morti: due per cause naturali, altri sette si sarebbero suicidati e “nessuno di loro era stato accusato o condannato per un crimine”. “Nonostante la condanna forte, ripetuta e inequivocabile del funzionamento di questo orribile complesso di detenzione e prigione con i relativi processi processuali, gli Stati Uniti continuano a detenere persone molte delle quali non sono mai state accusate di alcun crimine”, scrivono gli esperti.
Secondo i firmatari del documento presentato dalle Nazioni Unite, Guantanamo è “un simbolo profondo della sistematica mancanza di responsabilità e censura della pratica della tortura e dei maltrattamenti sponsorizzati dallo stato e dell’inaccettabile impunità concessa ai responsabili. Per questo motivo si “chiede nuovamente agli Stati Uniti di chiudere questa struttura e chiudere questo brutto capitolo di inesorabili violazioni dei diritti umani”.
Diversi presidenti nel corso delle proprie campagne elettorali hanno promesso di porre fine a queste torture legalizzate. Ma nessuno lo ha mai fatto. Per Obama non sono bastati due mandati presidenziali per mantenere la promessa. Trump, dal canto suo, non ha mai pensato di porre fine a quello che per molte organizzazioni umanitarie è uno scandalo. Lo scorso anno Amnesty International pubblicò un rapporto che iniziava con le parole pronunciate da Biden nel 2009 (quando era vicepresidente di Obama): “America will not torture. We will uphold the rights of those who we bring to justice. And we will close the detention facility at Guantánamo Bay…. [W]e say to our friends that the alliances, treaties and international organizations we build must be credible and they must be effective. That requires a common commitment not only to listen and live by the rules, but to enforce the rules when they are, in fact, clearly violated”. “L’America non ricorre alla tortura. Sosterremo i diritti di coloro che portiamo davanti alla giustizia. E chiuderemo la detenzione struttura a Guantanamo Bay…. Diciamo ai nostri amici che le alleanze, i trattati e le organizzazioni internazionali costruire deve essere credibile e devono essere efficaci. Questo richiede un impegno comune non solo per ascoltare e vivere le regole, ma per far rispettare le regole quando sono, in realtà, chiaramente violate”. Ora Biden è presidente, ma il suo comportamento non è ancora del tutto chiaro: a luglio dello scorso anno ha rimandato in patria Abdullatif Nasser, un marocchino che era rinchiuso a Guantanamo. Ma solo dopo che era rimasto lì per 19 anni senza essere accusato formalmente di nulla. Ma il futuro di questa prigione appare incerto: il governo ha stanziato nuovi fondi per la ristrutturazione di parte del sito. Cosa che dovrebbe avere un significato chiaro circa la volontà di chiuderlo.
Il punto è che anche dopo la morte di Osama Bin Laden, secondo i vertici della Difesa americana il conflitto degli Stati Uniti con al-Qaeda è in corso. Ancora oggi, nel 2022, dopo il ritiro dall’Afghanistan.
Per i 39 prigionieri detenuti a Guantanamo nessuno parla di diritti umani riconosciuti a livello internazionale. Clive Stafford Smith, avvocato che dirige 3D Centre, una Ong in difesa dei diritti umani e che assiste sette di loro, ha usato parole pesanti: due detenuti, originari del Pakistan, sono “reclusi che potrebbero andare via anche domani, ma che non vengono rilasciati”, ha detto l’avvocato, “anche dopo dieci anni”. E non mancano casi che dimostrano gli errori nel corso di indagini: recentemente un cittadino afgano, sospettato di aver fabbricato armi per al-Qaeda, è stato rilasciato dopo 14 anni di detenzione a Guantanamo. Il dipartimento della Difesa Usa ha riconosciuto di essersi sbagliato, identificandolo “erroneamente”. Nient’altro.
Negli anni il problema si è esteso anche ai paesi europei. Nel 2014 la Polonia è stata condannata dalla CEDU, la Corte europea dei Diritti Umani, per aver consentito ai servizi segreti americani di utilizzare un “black site” per la detenzione abusiva di due sospetti terroristi, Abu Zubaydah, palestinese, e Abd al-Rahim al-Nashiri, saudita. La Corte ha ritenuto che “il trattamento a cui i ricorrenti erano stati sottoposti dalla CIA durante la loro detenzione in Polonia equivaleva a tortura”. Pochi anni dopo, secondo la CEDU, anche in Lituania e Romania avrebbero violato il divieto europeo di tortura favorendo gli USA. Per questo i due paesi Lituania e Romania sono state condannate a pagare 100mila euro di danni a Abu Zubaydah e Abd al-Nashiri. L’elenco di violazioni simili da parte di paesi europei riportato in un documento del 2019 della Corte europea dei Diritti Umani è lunghissimo.
Nel documento pubblicato in occasione dell’anniversario di Guantanamo, gli esperti dell’OHCHR, invitano il governo degli Stati Uniti a chiudere questa prigione, rimpatriare i detenuti mandandoli a casa o in paesi terzi sicuri nel rispetto del principio di non respingimento e a fornire “rimedio e riparazione” per coloro che sono stati torturati e detenuti arbitrariamente dai loro agenti, e ritenere responsabili coloro che hanno autorizzato e commesso la tortura come richiesto dal diritto internazionale.
Nel testo gli esperti si dicono “profondamente preoccupati per il fatto che le commissioni militari sono ancora in fase di procedimento preliminare su mozioni per sopprimere le prove di tortura”. “La continua ingiustizia del procedimento e la mancanza di trasparenza e uguaglianza delle armi per gli imputati sono una macchia sull’impegno dichiarato degli Stati Uniti per lo stato di diritto e la protezione costituzionale”, hanno detto gli esperti.
Per gli esperti delle Nazioni Unite tutto questo è il “fallimento del sistema giudiziario degli Stati Uniti nello svolgere un ruolo significativo nella protezione dei diritti umani, nel sostenere lo stato di diritto e nel consentire a un buco nero legale di prosperare a Guantanamo con la loro apparente approvazione e sostegno”.
Un giornale ha definito il ventennale di Guantanamo “l’anniversario della vergogna”. Un “buco nero legale” dove, per decenni, sono stati violati i diritti umani. Un buco nero che nessuno sembra voler davvero chiudere.