Iraq. L’attivista Salam, ‘sosteneteci, la rivolta del 2019 è viva’

Il Paese è cambiato ma restano sfide.

Agenzia Dire –

C’è un Iraq prima della rivolta dell’ottobre 2019 e ce n’è uno dopo: un Paese di attivisti che continua a lottare, anche facendo i conti con divisioni interne, ma con una consapevolezza nuova “che non ha precedenti nella nostra storia moderna“. Un fermento che è accompagnato da una speranza: la prossima volta che i giovani iracheni scenderanno in piazza, infatti, “si aspettano di non essere lasciati soli dalla comunità internazionale, ma di essere sostenuti“. Sahar Salam, femminista irachena fra le protagoniste di “tashreen”, la mobilitazione dell’ottobre 2019, lo afferma nella sede romana dell’agenzia Dire in un’intervista organizzata in occasione di una sua visita in Italia, promossa dall’ong “Un Ponte per”.
Quasi dieci giorni in giro per il nostro Paese, dalla capitale a Milano passando per la Toscana, e poi Ancona e Bologna, per raccontare la sua esperienza e stringere contatti con la società civile italiana.
Si parte da un’appello allora, che ristabilisce il filo con la piazza del 2019, le sue proteste contro la corruzione, la crisi economica e il settarismo, ma che guarda anche al futuro: “Tre anni fa non ci siamo sentiti sostenuti dal resto del mondo, siamo stati lasciati soli”, scandisce Salam, 28 anni, originaria della capitale Baghdad. “La prossima volta che scenderemo in strada e che ci renderemo protagonisti di una rivolta, speriamo di ricevere solidarietà e di essere sostenuti da manifestazioni anche all’estero“. Nel corso delle proteste, stando ai numeri diffusi dalla società civile locale, almeno 650 manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza, mentre circa 15mila sono rimasti feriti.
Motivi per lottare continuano a esserci anche oggi. L’Iraq di questi giorni non è quello desiderato dai manifestanti di tre anni fa. Il ragionamento è complesso però, e non può prescindere dal constatare i tanti passi in avanti fatti. “al-Thawra”, rivolta in lingua araba, ha cambiato in modo radicale il Paese, soprattutto perché ci ha ridato la speranza e ci ha fatto credere di nuovo nella nostra capacità di affrontare gli abusi del potere”, afferma Salam. “Io sono nata negli anni Novanta – ricorda -, sono cresciuta con il governo di Saddam Hussein e poi ho vissuto l’occupazione americana, la guerra fra gruppi settari che ne è seguita e infine l’invasione del gruppo Stato islamico. Per me – prosegue Salam – la rivolta del 2019 non ha precedenti nella storia moderna del Paese, è stata una fase unica in cui la gente ha espresso tutta la stanchezza che aveva in corpo“.
I fatti che hanno seguito la rivoluzione e che ne hanno in un certo modo segnato la fine, hanno determinato i contorni dell’Iraq del 2022 e meritano una riflessione, che parte però dalla premessa che “molti degli obiettivi che la società civile si era prefissata non sono stati raggiunti“, come afferma Salam. “Le proteste sono state interrotte in modo brusco dal sopraggiungere della pandemia di Covid-19 e dalle misure che sono state imposte per contenerla“, spiega la femminista. L’onda lunga delle proteste ha portato alle dimissioni dell’allora primo ministro Adil Abdul-Mahdi e all’organizzazione di elezioni legislative anticipate. “Non era quello l’obiettivo delle proteste e buona parte di chi era sceso in strada le ha boicottate”, aggiunge l’attivista.
Ad emergere dalle urne è stata la riconferma come primo partito in parlamento del blocco legato al chierico sciita Muqtada al-Sadr. “Era una delle forze che più si è opposta alle manifestazioni di piazza e dopo la mobilitazione si sono ritrovati con il potere di formare il governo: è stato un risultato molto negativo”, denuncia Salam. Comporre l’esecutivo si è rivelato più complesso del previsto, anche alla luce di dissidi fra i cosiddetti sadristi e altre forze politiche sciite, pure uscite rinforzate alle urne. Ad agosto i sostenitori di al-Sadr hanno occupato il parlamento e la Zona Verde, cittadella delle istituzioni e della diplomazia nel cuore di Baghdad. “Io mi trovavo nella città di Bassora in quel momento, e ci sono stati giorni in cui non potevamo uscire di casa perché i sadristi giravano armati, o perché c’erano scontri a fuoco fra miliziani“, afferma Salam.
Negli ultimi mesi si è dimesso un altro primo ministro, Mustafa Al-Kadhimi, e a capo del governo è salito Mohammed Shia’ al-Sudani, che ha formato un esecutivo. Il nodo del rapporto fra società civile e sadrismo continua a essere centrale. “Attualmente le relazioni fra noi e loro sono pari a zero“, premette Salam. “I movimenti sociali però si sono divisi e si dibatte su cosa fare: ci sono gruppi che sostengono che sarebbe necessario aprirsi a un dialogo con loro e chi ritiene che sia necessario mantenere una linea di ferma chiusura. Ogni ottobre organizziamo una manifestazione per ricordare la rivolta del 2019, e i sadristi sono soliti organizzare proteste in contemporanea – aggiugne l’attivista -. E’ un tentativo di comunicare che stiamo dalla stessa parte, ma non è affatto così“.