Israele. Marinari (Amnesty), ‘El-Qaisi è italiano, ma il governo non parla’

E' detenuto da 22 giorni, 'Non è un caso isolato'.

Agenzia Dire

“Khaled El Qaisi è stato arrestato il 31 agosto dalla polizia israeliana e incarcerato. In queste tre settimane non ha mai avuto ancora la possibilità di essere assistito da un avvocato durante gli interrogatori. Durante la prima udienza Khaled e il suo avvocato non sono comparsi insieme davanti al giudice. Sappiamo che ha subito minacce verbali forti. Nonostante ciò, non c’è stata ancora nessuna presa di posizione da parte del nostro governo. A oggi – ed è importante sottolinearlo – nessuno sa perché Khaled sia detenuto e sia stato sottoposto a maltrattamenti, che costituiscono purtroppo un iter tipico di chi viene detenuto da parte della giustizia israeliana”. Così dichiara alla Dire Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia, intervenendo nel corso del festival Beit Falastin, in corso a Roma.
Marinari si riferisce al caso di Khaled El Qaisi, cittadino italo-palestinese arrestato lo scorso 31 agosto dalla polizia israeliana mentre con la moglie e il figlio di quattro anni faceva ritorno in Italia, dopo aver trascorso una breve vacanza dalla famiglia. Ieri, il giudice ha rinnovato la detenzione di altri 11 giorni, in un’udienza svoltasi nuovamente senza rendere noti i capi d’accusa.
Marinari continua: “Non dobbiamo dimenticare che quello di El-Qaisi non è un caso isolato. Ad oggi ci sono 5mila palestinesi nelle carceri israeliane, di cui 1.260 detenuti senza conoscere le accuse né aver affrontato un procedimento penale, nell’ambito della cosiddetta ‘detenzione amministrativa’”. Una pratica, questa, che prevede la privazione della libertà a tempo potenzialmente indeterminato, senza processo e senza possibilità di difendersi da prove tenute segrete.
La referente di Amnesty aggiunge: “Questa procedura scatta quando le autorità sospettano che la persona abbia commesso un reato, e preferiscono tenerla in carcere sebbene non abbiano prove. Intanto il detenuto, tagliato fuori dal mondo, si vede negato il diritto di parlare con la famiglia e gli avvocati, lasciato senza informazioni su quando potrà tornare alla sua vita. L’uso spropositato che Israele fa di questa modalità di detenzione e la facilità con cui i palestinesi vengono rinchiusi per mesi, a volte anni, senza nessuna giustificazione sul piano del diritto, è una pratica che abbiamo l’obbligo di raccontare. Oggi parliamo di Khaled, ma di storie come la sua ce ne sono moltissime”.
Marinari conclude: “Questo accade in Israele, un Paese che si definisce democratico e ha sottoscritto il Trattato internazionale sui diritti politici. Ci domandiamo perché il governo italiano non sia ancora intervenuto”.