Italia-Serbia: parla Jovan Palalić, segretario Partito Popolare Serbo

a cura di Dario de Marchi

Italia e Serbia sono legate da lontane relazioni. Il Giornale Diplomatico ha tracciato il quadro dei rapporti bilaterali e non solo con Jovan Palalić, segretario del Partito Popolare Serbo e componente del Parlamento di Belgrado.

– Sappiamo quanto storicamente Italia e Serbia siano accomunate da un fraterno legame di antica amicizia. Basti pensare già alle relazioni amicali create quando nei nostri Stati c’erano le monarchie. Ci riferiamo, per esempio, all’alleanza durante la Prima Guerra Mondiale contro gli Imperi Centrali e all’aiuto che l’Italia diede all’esercito serbo schierando le navi delle Regia Marina sulle coste albanesi per proteggere la ritirata dei serbi dalle forze austroungariche. Così come al supporto dato dall’Italia, in tempi più recenti, per la pacificazione del Kosovo, territorio dove Roma è al comando della missione ONU ed è il secondo contingente per numero dopo i caschi blu statunitensi. Sembra strano, ma possiamo forse dire che il “soft power” italiano e l’essere una “forza tranquilla” (lontana dalla storia militare e dalle roboanti dimostrazioni di forza di Paesi quali Francia, Inghilterra, etc.) ci ha aiutato a creare una robusta amicizia nei Balcani e, in particolare, con la Serbia?
“Ha perfettamente ragione quando parla della forte amicizia tra Serbia e Italia. Serbia e Italia sono partner strategici, e questa è una partnership che col passare del tempo è più forte e più sincera. Creda che il popolo serbo lo senta, in una situazione non affatto facile quando altri Paesi lo bloccano nella sua intenzione di entrare a far parte dell’Unione Europea. L’Italia sostiene con coerenza e fermezza la posizione secondo cui la Serbia, in quanto Paese più importante dei Balcani, dovrebbe far parte dell’Unione Europea. Siamo un vecchio popolo europeo e l’Europa è la nostra casa.
Come giustamente ha notato, abbiamo stretto la nostra amicizia durante i tempi difficili della Prima guerra mondiale. Purtroppo, lo faccio spesso notare, il nostro errore è stato quello di non accettare l’Accordo di Londra del 1915, quando siamo stati in grado di risolvere insieme molte questioni nei Balcani ed evitare malintesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Ecco perché oggi non ci sono più italiani né serbi in Istria e Dalmazia.
Sebbene non siamo d’accordo sulla questione dello status del Kosovo, che per noi non è uno Stato indipendente ma una provincia all’interno della Serbia, apprezziamo molto l’impegno dei soldati italiani nella protezione dei nostri monasteri e delle nostre chiese. Gli italiani sono un popolo cristiano e posso dire liberamente che ci capiscono meglio in Occidente.
Naturalmente le nostre relazioni hanno una forte dimensione economica e l’Italia è uno dei nostri partner economici più importanti e uno dei maggiori investitori in Serbia. L’economia è una solida base per la nostra buona cooperazione e comprensione a livello politico”
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– Sotto il profilo economico la Serbia è cresciuta molto in questi anni. Il suo PIL è addirittura rimasto quasi stabile (forse unico caso in Europa) dove, anche sotto la pandemia, il “crollo” (se così vogliamo chiamarlo) è stato risibile: circa l’1% in meno. Qual è il successo di questa “tigre balcanica”? Quali le politiche economiche attuate negli ultimi dieci anni?
“Innanzitutto, dal 2012 il nostro Governo si è posto l’obiettivo chiaro di procedere al consolidamento fiscale e di ridurre il debito pubblico. I nostri pensionati sono stati i più colpiti da queste misure perché le loro pensioni sono state ridotte, così come a tutti gli altri che ricevono fondi dal bilancio. Ma c’era una solidarietà generale per salvare lo stato, e la stabilità politica era preservata. È stato razionalizzato il numero dei dipendenti nel settore pubblico ed è stata introdotta una maggiore trasparenza nella spesa dei fondi di bilancio.
Poi abbiamo lanciato grandi investimenti in infrastrutture e ulteriormente stimolato gli investimenti esteri con tasse e sussidi. Con queste misure abbiamo aumentato l’occupazione e ridotto il debito pubblico.
Abbiamo instaurato buoni rapporti politici con tutti e attirato investimenti sia dall’Occidente che dall’Oriente. Il settore IT ha conosciuto uno sviluppo particolarmente forte, dove siamo un Paese dalle grandi potenzialità e dall’ottimo personale. La nostra economia si rafforza di anno in anno grazie a buone misure e alla stabilità politica”
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– Andando alle relazioni commerciali tra Italia e Serbia, nell’ultimo decennio si è assistito a una grande crescita dell’interscambio tra i due Paesi, facendo dell’Italia un partner privilegiato di voi serbi. L’Italia è uno dei principali partner commerciale, con un interscambio che nel 2018 si è attestato a 4,03 miliardi di euro. È il principale mercato di sbocco per la Serbia seguita dalla Germania. Sul versante delle importazioni, la Germania rimane in testa, seguita dall’Italia e dalla Cina. Il nostro ambasciatore a Belgrado, il palermitano Carlo Lo Cascio, aveva dichiarato che lo zoccolo duro delle aziende italiane operanti in Serbia è rappresentato da circa 600 aziende, con una quota di capitale investito stimata in circa 3 miliardi di euro e che offrono lavoro a oltre 25mila persone. Nel periodo che va dal 2007 al 2018, secondo fonti ufficiali serbe, l’Italia è risultato il primo investitore in Serbia, sia per numero di progetti che per valore degli investimenti. Tanti, infatti, i settori toccati in Serbia dalle aziende italiane: automotive con FCA che ha rappresentato un vero volano per il comparto e lo sviluppo di un solido indotto; tessile, con marchi storici come Calzedonia, Golden Lady Pompea, Benetton; bancario-assicurativo con Unicredit e Intesa Sanpaolo (i due principali istituti di credito del Paese e detengono congiuntamente una quota di mercato del 27,7%) Generali e Unipol. L’Italia è anche tradizionalmente presente nel settore calzaturiero (Geox), energetico (Fintel, Saipem) e agricolo (Ferrero). Quali i campi d’azione nel business in cui l’Italia può continuare ad essere utile allo sviluppo del Suo Paese?
“Certamente l’Italia è uno dei nostri partner economici più importanti e le aziende italiane sono felici di investire in Serbia, grazie alle buone condizioni per gli investitori e la forza lavoro professionale e di qualità.
Quello su cui vorrei richiamare l’attenzione è il fatto che poche aziende in Italia sono consapevoli della possibilità di esportare i propri prodotti dalla Serbia nel grande mercato russo senza dazi doganali, visto che esiste un Accordo di libero scambio tra Serbia e Russia e praticamente tutte le merci prodotte in Serbia si trovano al mercato russo senza dazi doganali.
Invito le aziende italiane a sfruttare questa opportunità e ad investire in Serbia. Questa può essere una grande opportunità, soprattutto nelle condizioni dell’esistenza di sanzioni tra Unione Europea e Russia.
Oltre a tutti questi settori che lei ha citato e in cui l’imprenditoria italiana è già presente, vorrei attirare la sua attenzione sul settore IT dove le opportunità di cooperazione sono enormi e dove sono già presenti grandi aziende globali. L’Italia ha grandi aziende in questo settore e sono convinto che potrebbero fare ottimi affari in Serbia”
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– Paesi come la Russia hanno usato per attrarre investitori la cosiddetta “Golden Visa”, letteralmente il “visto aureo”, ossia il permesso a chi investe una certa cifra di ottenere il permesso di residenza permanente che garantisce al titolare dello stesso il diritto di vivere nel paese e partecipare al processo di naturalizzazione nel rispetto delle regolamentazioni locali, oltre che essere più vicino alla propria azienda e poterla gestire meglio. Cosa ne pensa di questa misura economica, lei che, in Italia, siede in un importante consesso di liberali, quali il Milton Friedman Institute, di cui è membro del comitato scientifico?
“La Russia, dopo l’introduzione delle sanzioni da parte dell’Unione Europea, vuole sicuramente rafforzare la propria economia con diverse misure, in primis sostenendo lo sviluppo di quei rami che prima delle sanzioni erano maggiormente dipendenti dalle importazioni. Ciò si riferisce principalmente all’agricoltura, dove, per quanto ne ho saputo, hanno davvero compiuto notevoli progressi e padroneggiato molte tecnologie nella produzione.
Certamente, tali misure che lei ha citato contribuiscono all’afflusso di nuovi investimenti e all’arrivo di nuove tecnologie e legano gli investitori a quel mercato per molto tempo.
La Russia deve pensare che le sanzioni possono durare a lungo e deve adattarsi a varie misure per mantenere la stabilità interna e raggiungere lo sviluppo economico”
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– Interessante è stato il sapiente uso di uno strumento di “soft power” quale la vaccinazione aperta agli stranieri introdotta in Serbia. Ce ne può parlare?
“Abbiamo mantenuto per anni buoni rapporti politici sia con i Paesi occidentali che con quelli orientali. Siamo un partner affidabile e leale. La procedura di vaccinazione in Serbia, considerata da tutti nel mondo come una di maggior successo, è la conseguenza della nostra politica estera. Abbiamo tutti i tipi di vaccini e i nostri cittadini sono liberi di scegliere con quale vogliono essere vaccinati.
Abbiamo avviato la produzione del vaccino russo Sputnik V come primo Paese in Europa e così, dopo molti anni, abbiamo rinnovato la nostra sovranità in questo comparto, che sarà uno dei più importanti in futuro. Gli investimenti in salute e sovranità in questo settore sono investimenti nel futuro della nazione.
Aiutiamo anche altri Paesi della regione inviando a loro i vaccini. In assenza di una chiara posizione dell’UE sul futuro dei Balcani, abbiamo deciso di perseguire una politica che non metta tutte le uova nello stesso paniere. E a quanto pare ha dato un risultato in questa pandemia”
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– In chiusura, come vede in proiezione per il decennio 2021-2030 i rapporti tra i nostri Paesi? Quali, a suo avviso, i punti da rafforzare per maggiori sinergie in campo politico ma anche culturale ed economico?
“Sia la Serbia che l’Italia hanno un forte interesse a mantenere i Balcani stabili, economicamente sviluppati e il più vicino possibile all’Unione Europea. Credo che un maggiore impegno dell’Italia nei Balcani possa contribuire a stabilizzare la situazione e rafforzare la fiducia tra gli Stati balcanici, perché l’Italia agisce sempre apertamente e senza ambizioni di imporre soluzioni unilaterali.
In tal senso, credo che dobbiamo rafforzare ulteriormente il nostro coordinamento a livello internazionale e nelle istituzioni internazionali.
Dopo questa crisi sanitaria, che ha avuto anche le sue conseguenze economiche, mi aspetto un afflusso di nuovi investimenti italiani in Serbia, come occasione per conquistare un nuovo mercato.
Sono convinto che alzeremo il livello di cooperazione tra le nostre regioni, appena iniziata. Voglio essere ottimista sul fatto che la Serbia diventerà un membro dell’Unione Europea in quel periodo e che durante quel processo, come prima, avremo un forte e sincero sostegno dall’Italia, che rafforzerà ulteriormente la nostra partnership strategica.
La cultura italiana, che i serbi apprezzano e amano così tanto e che ha plasmato i gusti di tante delle nostre generazioni, rimane un solido fondamento delle nostre relazioni complessive.
Ma sono convinto che anche il pubblico italiano conoscerà la bellezza della creatività serba, soprattutto quella che oggi è più a rischio e si trova in Kosovo.
Le profonde radici cristiane comuni e la grande eredità cristiana dei nostri popoli ci uniranno inoltre nella difesa dell’eredità in questo momento di svalutazione di tutti i veri valori tradizionali”
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Intervista in mediaparnership con