La candidatura di Hillary Clinton divide il femminismo Usa

di Lorenzo Nicolao

Clinton hillaryDa decenni si vocifera sull’ipotesi di una donna alla Casa Bianca eppure, ora che ci sono serie possibilità che questo accada grazie alla popolarità della candidata democratica Hillary Clinton, vivace è il dibattito che affolla i salotti femministi statunitensi.
La correlazione sembrava evidente. Presidenza USA ad una donna equivale a una chiara emancipazione rosa negli States.
Invece, a dispetto di ogni previsione, si è aperta un’enorme frattura tra due diverse generazioni di attivismo femminista, quello del XX secolo opposto a quello del nuovo millennio, formato da ragazze che cercano non solo l’eguaglianza, ma la complementarietà con l’universo maschile. In breve, donne con i pantaloni opposte a quelle orgogliose di rispolverare una nuova femminilità sotto l’egida di nuovi diritti.
Storiche attiviste Anni 70 infatti, come Gloria Steinem e Madeleine Albright, sono impazienti di vedere una presidenza rosa, come esempio e svolta per ogni donna americana. “Questo sarebbe semplicemente il coronamento di tante battaglie che abbiamo affrontato nei decenni – ribadisce la Steinem -. Spesso al riconoscimento di determinati diritti non fa purtroppo seguito il ricordo di tante sfide vinte per ottenere la parità di genere”.
Dall’altra parte invece le giovani femministe di nuova generazione vedono nella Clinton l’establishment e l’ombra del marito Bill che, per impossibilità costituzionale, non poteva da solo ottenere il terzo mandato. Stessa idea viene con forza sostenuta dalla femminista alternativa Camille Paglia, per la quale una presidenza Clinton non sarebbe altro che un nuovo sfruttamento della donna, poichè l’intervento di Bill in ogni occasione risulterebbe semplicemente una nuova forma di familismo dove la moglie rimane succube e dipendente del volere della figura maschile.
Lo scisma tra giovani e veterane quindi si apre a divergenze molto più complesse di una semplice battaglia per la parità di genere.
“E’ come la mamma – affermano le giovani -. Noi appoggiamo Bernie Sanders perché il vero femminismo non è una questione di genere, ma di idee”.
In lui infatti molte attiviste del XXI secolo vedono idee che possono tutelare maggiormente le donne, a casa come nel lavoro.
Sarà in parte per le idee socialiste di Bernie Sanders, ma certamente il candidato rivale, dopo aver avuto un divario anche di 40 punti percentuali con Hillary, sta facendo tesoro delle uscite pubbliche e dei dibattiti della campagna elettorale fino a sfiorare la parità di consensi in diversi Stati USA.
Nell’ambito femminile soprattutto, pesa sempre quel vecchio detto secondo il quale ogni donna non avrà mai lo stesso consenso elettorale di un uomo per colpa delle elettrici stesse.
Se da una parte tutte sono concordi nella rivincita rosa, dall’altra prevarrà sempre una competizione e invidia che allontanerà i voti dalla candidata, a maggior ragione, a quanto sembra, se questa è simbolo della classe dirigente USA e non un volto nuovo per la vita pubblica statunitense.
Il fuoco amico potrebbe quindi essere il nodo cruciale che sposterà la bilancia dei consensi a favore di Bernie Sanders, ma di certo le primarie democratiche si giocheranno su molti altri fattori.
Sebbene le donne rimangano sempre le giudici più spietate per le altre donne, Hillary può invece contare sulla sua lunga esperienza nella vita politica e su quella “Clinton Machine”, che innegabilmente anche per merito del marito ex presidente, la rende forte per tutta la classe dirigente, comparata a un Martin O’Malley che si è appena ritirato e a un suddetto Bernie Sanders che appunto, se da una parte è forte per alcune idee socialiste che sta introducendo in modo del tutto inedito nella politica americana, dall’altra parte rappresentano il suo principale punto debole in Paesi digiuni di questo aspetto della politica e soprattutto delle riforme da apportare dopo otto anni di presidenza Obama, sempre di matrice democratica.
Ad ogni modo, l’acceso dibattito femminista ha quindi nel suo piccolo coronato la rimonta del rivale democratico ai danni di Hillary in New Hampshire, anche se la popolarità dell’ex First Lady sembra essere a tutt’oggi inattaccabile perfino negli ultimi giorni di incertezze.
Tra veterane e nuove attiviste quindi sembra più complicato del normale definire la presidenza di una donna come positiva o negativa per l’universo femminile. Una svolta in sé per sé, oppure una sottile e meno visibile reiterazione dei soliti schemi?
Altre candidate si sono affacciate nell’universo della politica statunitense, e tutte sembrano essere piuttosto concordi nell’affermare che Hillary Clinton può concorrere per la presidenza USA proprio perché è una Clinton, e non perché sia una donna, per quanto preparata, competente ed esperta possa essere nel suo ruolo, attuale e anche futuro.
Non resta che attendere i prossimi dibattiti e l’evoluzione di questa campagna elettorale nell’arco della prima metà del 2016.
Di certo, abbandonandoci a un curioso paragone, negli ultimi anni i più duri conflitti sociali tra bianchi e neri negli USA, ed episodi di nuovo e vecchio razzismo, sono avvenuti proprio sotto la presidenza di un uomo nero, dimostrando che i più imprevedibili esiti della storia non riguardano solo l’universo femminile e le sue battaglie. Alle urne quindi l’ardua sentenza.

Lorenzo Nicolao (Twitter: @LolloNicolao)