La polveriera Senegal

di Francesco Migliore

Parafrasando Pierre Haski, fondatore del sito d’informazione Rue89 “quando un paese sparisce dell’attualità non significa necessariamente che vada tutto bene”.
Il giornalista Francese si riferisce alla Siria. Questo focus, invece, è dedicato al Senegal, considerato da molti come un bastione della stabilità politica in Africa occidentale, sebbene gli ultimi accadimenti evidenziano il profondo “indebolimento delle istituzioni democratiche e delle personalità che lo incarnano” (1). Dal giugno scorso si susseguono scontri con conseguenti morti e feriti tra la polizia e i manifestanti.
La scintilla che ha infiammato il paese è stata la è stata la condanna dell’oppositore Ousmane Sonko (leader del partito dei “Patrioti senegalesi per il lavoro, l’etica e la fraternità” Pastef) a due anni di carcere senza condizionale.
Sonko, assolto dagli atti di stupro di cui era accusato, è stato dichiarato colpevole di “corruzione giovanile”. Con questa espressione ci si riferisce a chiunque offenda “la morale incitando, favorendo o facilitando la dissolutezza o la corruzione giovanile”.
Con questa sentenza, arrivata il 1 giugno, Sonko rischia di essere escluso dalle elezioni presidenziali del 2024. Difatti, secondo il codice elettorale senegalese, la condanna a una pena detentiva superiore a tre mesi vieta automaticamente a Ousmane Sonko di partecipare alle elezioni presidenziali del 2024.
Definito da Le Monde come astro nascente della politica senegalese, Sonko è noto per le use idee “antisistema”: uscire dal franco CFA, ridurre il debito e lo stile di vita dello Stato, favorire le imprese e i posti di lavoro nazionali.
Tali tematiche riscuotono successo tra i giovani senegalesi, soprattutto under 20, i quali rappresentano metà della popolazione senegalese e che come riporta Pangea-risk (società di sicurezza indipendente che fornisce servizi specialistici di protezione e gestione del rischio): “si sentono emarginati dal punto di vista socio-economico e sono sempre più frustrati da un governo che, a loro dire, è guidato da leader anziani e distanti, che sono stati troppo lenti nell’ammorbidire i contraccolpi economici della pandemia e della guerra in Ucraina sulla popolazione”.
Non a caso i protagonisti delle rivolte sono proprio i giovani i quali hanno il timore di vedersi scippati della libertà di scegliere un nuovo presidente, alle elezioni del prossimo anno. Infatti, nonostante al presidente sia impedito di candidarsi per un terzo mandato, una modifica alla costituzione apportata nel 2016, potrebbe consentirgli di candidarsi nuovamente.
Dal 2019 ci sono stati nove colpi di stato riusciti e molti altri falliti. Il Senegal è l’unico paese della parte occidentale del continente a non aver mai subito un colpo di Stato. Tuttavia, come è noto, l’Africa centro-occidentale nelle ultime settimane è attraversata da crisi politiche di rilievo. Prima il colpo di stato dei militari in Niger con la deposizione del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum. Poi l’arresto di diversi militari in Sierra Leone che stavano progettando un golpe. Infine il golpe in Gabon.
Nonostante ogni paese abbia le sue peculiarità, pare che ci sia un comune denominatore tra le varie insurrezioni: un crescente sentimento anti-francese che segna la fine della Françafrique, termine con il quale si intende quell’insieme di relazioni asimmetriche che legano la Francia alle sue ex colonie in Africa occidentale e centrale. Non stupisce affatto che le manifestazioni di protesta siano accompagnate da bandiere francesi bruciate da una parte, e sventolio di quelle Russe dall’altra parte.
Il fallimento della politica Francese e le ferite ai riemergiate del colonialismo permettono alla Russia, presente ormai da anni in Africa attraverso il gruppo Wagner di porsi come alternativa all’occidente. Il caso più eclatante è il Mali, dove i mercenari russi danno supporto alla giunta militare insediatasi con il colpo di stato del 2022 e hanno riempito il vuoto dato dal ritiro del contingente francese.
L’Italia e l’Europa in generale devono prestare molta attenzione a quello che sta succedendo in Africa e in particolar modo in Senegal, paese che sembra sull’orlo della deflagrazione.
Come è noto, il Senegal è uno dei maggiori paesi di immigrazione in Africa subsahariana. In riferimento alla realtà italiana, la comunità senegalese rappresenta la maggiore comunità dell’Africa subsahariana presente, inoltre l’Italia è il suo secondo mercato di esportazione in Europa.
Per Roma risolvere il tema migratorio è prioritario ed è pacifico sostenere la frontiera europea non inizia in Libia, Tunisia o Turchia, ma molto più a sud. Si intuisce facilmente che una volta crollato il Niger e il Sahel, la strategia italiana si sposta in Senegal. Garantire la stabilità politica ed economica del Senegal e naturalmente del Sahel è obiettivo primario dell’Italia. Ciò è confermato dal fatto che nel solo 2022 sono stati impiegati 9.905.074 euro da parte dell’Italia in Senegal. Tali interventi si sostanziano nella realizzazione di progetti nei settori di agricoltura, sicurezza, istruzione e infrastrutture.
Come ha sostenuto il presidente del Consiglio Giorgia Meloni al G7 di Hiroshima dello scorso maggio “abbiamo bisogno di una migliore e più efficace collaborazione con il Sud Globale”. Garantire la tenuta degli stati è condizione necessaria e propedeutica al raggiungimento di tale obiettivo.

Note.
1 – Cfr. Giovanni Carbone, Head programma Africa, ISPI.