La sfida dell’italia sulle politiche migratorie: dalla diplomazia “silenziosa” al nuovo patto sull’immigrazione in Europa

I dati del Ministero dell’Interno confermano la pressione migratoria in Italia (+ 60 % rispetto al 2020), mentre il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa rivolge ancora un monito all’Ue sulle responsabilità nelle politiche migratorie.

di Maurizio Delli Santi * –

Il mese di maggio appena trascorso ha visto alcuni passaggi significativi della rappresentazione della politica estera italiana nel ruolo della Presidenza annuale del G20. L’Italia sembra così aver tracciato in termini netti l’agenda della sua politica estera sui principali temi globali, quali salute globale, cambiamenti climatici e diseguaglianze globali, in cui peraltro ha evocato efficacemente anche un’idea nuova di multilateralismo. E in queste occasioni non v’è dubbio che ha saputo raccogliere ampi consensi, riuscendo a proporsi con una leadership rafforzata e una rinnovata capacità di ricomposizione delle polarizzazioni su temi assai controversi delle relazioni internazionali, come ad esempio la proposta sulla sospensione dei brevetti per i vaccini Covid 19.
Ma è presto per trarre un bilancio definitivo e pensare ad una prospettiva rassicurante per ciò che l’Italia potrà ottenere in termini di riconosciuta rappresentatività nella comunità internazionale, e in specie nel contesto europeo. C’è ancora un tema cruciale che pure rappresenta una “criticità globale”, ma che è stato appena sfiorato in queste prime rappresentazioni ufficiali della politica estera italiana, e non solo negli appuntamenti del G20, ed è il tema della crisi migratoria.

Appare chiaro che la richiesta italiana di una più concreta ed effettiva condivisione nei ricollocamenti da parte dell’Europa è un tema che divide, in cui ancora è lontano un accordo. Finora può essere stata ragionevole la scelta di non porre subito la questione migratoria sul tavolo delle intese della politica europea, e di muoversi invece su altri temi più generali per poi proseguire le negoziazioni anche in altri ambiti, ripartendo da un ritrovato quadro di fiducia reciproca. E non sono sfuggiti agli analisti i segnali di quella che viene definita l’opzione strategica della “diplomazia silenziosa”, certamente più efficace di una politica estera “gridata” che può solo inasprire le contrapposizioni, come è accaduto nel recente passato proprio sul tema dei respingimenti e delle ricollocazioni.
Beninteso, occorre avere la consapevolezza che anche la “diplomazia silenziosa” deve darsi dei tempi perché l’attendismo può essere deleterio, in specie in questo momento in cui con l’inoltrarsi della stagione estiva è prevedibile un’ulteriore escalation degli sbarchi. Ma soprattutto perché si tratta di compiere scelte non più rinviabili: da esse dipende la salvezza di migliaia di vite umane.

La pressione migratoria sull’Italia è documentata in termini chiari nelle ultime rilevazioni del Ministero dell’Interno che al 4 giugno indicano in 14.999 gli stranieri irregolarmente sbarcati lungo le coste italiane nel 2021, a differenza dei 5.461 e dei 1878 stranieri sbarcati nei corrispondenti periodi del 2020 e del 2019. E il trend è destinato ad aumentare nell’avanzare del periodo estivo.

A parte un’impennata della provenienza dal Bangladesh (2.608 nell’anno, di cui 1590 solo nell’ultimo mese), le maggiori pressioni migratorie rilevate nel corso dell’anno – sulla base delle dichiarazioni rese allo sbarco – sono originate da Tunisia (2113), Costa d’Avorio (1410), Eritrea (971), Guinea (945), Egitto (951), Sudan (905), Marocco (623), Mali (568), Algeria (442), Altre (3463). Le rotte che destano maggiore preoccupazione sono ancora quella libica e tunisina, laddove è noto che specie la rotta libica non è affatto appannaggio di libici, che sono regolarmente “trattenuti” dalle autorità locali, ma principalmente da migranti provenienti dall’ Africa subsahariana. Anche questo spiega la scelta del Governo italiano di promuovere alcune visite ufficiali mirate proprio in Libia e Tunisi. Il 6 aprile il presidente Draghi ha compiuto la sua prima visita di stato in Libia con il nuovo governo. Sul tema dell’immigrazione il Capo del governo italiano si è soffermato su alcuni passaggi-chiave: “Il problema non è solo geopolitico, è anche umanitario. Da questo punto di vista l’Italia è forse l’unico Paese che continua a tenere attivi i corridoi umanitari. Il problema delle immigrazioni per la Libia non nasce solo sulle coste libiche ma si sviluppa anche sui confini meridionali”. E sottolinea: “L’Ue è stata investita del compito di aiutare il governo libico anche in quella sede”.

Pochi giorni dopo, il 19 aprile, è il Ministro dell’Interno Lamorgese a recarsi in visita in Libia dove ha discusso del dossier migrazioni con i rappresentanti del nuovo governo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite. I resoconti ministeriali e delle principali agenzie di stampa hanno sottolineato alcuni aspetti salienti delle dichiarazioni rese dal Ministro Lamorgese nel corso della visita:
1) i temi affrontati sono stati il dossier sulle migrazioni, il contrasto alle organizzazioni criminali che sfruttano il traffico di esseri umani, il rispetto dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati;
2) è stata ribadita la necessità di un maggior coinvolgimento dell’Unione Europea su tali temi, che passa anche attraverso l’attività di istituzioni come l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (l’UNHRC);
3) l’Italia intende promuovere la presenza di tali organizzazioni in territorio libico in un incontro da organizzare a Roma;
4) il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno intende realizzare una serie di progetti per la cooperazione allo sviluppo in Libia; 5) l’Italia vuole anche intensificare gli sforzi per implementare i corridoi umanitari.

Con un profilo diverso va poi ricordata la visita in Tunisia, paese colpito ancora dalla grave crisi interna, svoltasi il 20 maggio sempre dal Ministro Lamorgese, stavolta insieme al commissario europeo per gli Affari interni, Ylva Johansson, nel quadro dei colloqui sul partenariato Ue-Tunisia in materia di immigrazione. In questo caso i resoconti ufficiali riferiscono della volontà del Ministero dell’Interno italiano di sviluppare un “sistema di linea dedicato” alla Tunisia per i rimpatri, facendo riferimento non solo ai voli diretti già in atto, ma anche alle possibilità di un monitoraggio aereo italiano/europeo che possa segnalare agli organismi tunisini le partenze delle imbarcazioni con i migranti dalle coste. In tale contesto, le note di agenzia hanno dato particolare rilievo anche alle dichiarazioni del commissario europeo Johansson che ha sottolineato quanto sia “fondamentale che l’Europa sostenga l’Italia nella gestione dei flussi migratori”.

Abdul Hamid al-Dbeibah.
Il 30 maggio è stata la volta della visita a Palazzo Chigi del premier libico Abdul Hamid Dbeibah, intervenuto alla sessione plenaria del business forum organizzato alla Farnesina “La nuova Libia si presenta alle imprese italiane”. Le dichiarazioni rese in tale occasione dal Presidente Draghi sono state ancora molto esplicite: “Ritengo sia un dovere morale ma anche un interesse della Libia assicurare il pieno rispetto dei diritti di rifugiati e migranti”.  Il Premier ha quindi confermato l’intendimento dell’Italia di continuare a finanziare i rimpatri volontari assistiti e le evacuazioni umanitarie dalla Libia, ma ha precisato: “Serve un’azione dell’UE determinata e rapida. Al Consiglio europeo di giugno, su proposta italiana, la migrazione tornerà al centro dell’attenzione politica”. Si tratta di un segnale forte, che viene probabilmente anche dalla mancanza di volontà degli altri leader europei di affrontare ancora nel dettaglio l’argomento, manifestata all’ultimo vertice Ue del 24 maggio, dove si è parlato in particolare di cambiamenti climatici, lotta alla pandemia, rapporti con la Federazione Russa e la Bielorussia (per la nota vicenda del dirottamento aereo). E ciò nonostante fosse appena esplosa la crisi di Ceuta, che ha visto la Spagna indifesa di fronte all’ondata di migranti che il Marocco aveva di fatto istigato ad espatriare abbandonando il controllo della frontiera: un fatto gravissimo di cui ancora non si è forse compresa la portata che apre nuovi scenari di pericolose minacce geopolitiche per la nostra Europa.

Probabilmente sarà dunque una buona intesa Italia-Spagna – ma anche con la Grecia che da sempre è colpita anch’essa da una rilevante pressione migratoria – che potrà far risultare decisivo il Consiglio Europeo del 14 giugno p.v., per cominciare a lavorare concretamente per il Nuovo Patto per l’Immigrazione. Di fronte all’inerzia dell’Europa, il premier italiano stavolta non si è risparmiato in note più caustiche: “Mettere a dormire un problema non lo fa sparire (…) Il nostro atteggiamento deve essere equilibrato, efficace ma soprattutto umano. Quelle immagini di quei bambini sono veramente inaccettabili. La nostra azione da un lato vuole cooperare, aiutare questi Paesi, dall’altro si muove in Europa essenzialmente per fare sì che anche l’Europa si muova economicamente in quell’area, ma anche e sempre avendo in mente i diritti umani”.

Su quest’ultimo riferimento ai diritti umani – unito agli altri richiami ricorrenti sui diritti umani, ai “corridoi umanitari” e alle “evacuazioni umanitarie” di cui si è detto a proposito degli incontri con Libia e Tunisia – è importante soffermarsi con particolare attenzione, perché non va confuso con un rituale espediente retorico. È bene che l’Unione Europea sia messa di fronte alle sue responsabilità – e non solo morali – su questo tema. Il richiamo è venuto forte dall’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHCHR) che nell’ultimo rapporto dal titolo eloquente “Letale disprezzo” ha condannato le pratiche illegali con cui l’Unione Europea cerca di contrastare la situazione migratoria nel Mediterraneo. La denuncia è rivolta in particolate alle politiche di “esternalizzazione” attuate con “il trasferimento forzato dei richiedenti asilo verso paesi terzi, spesso in via di sviluppo, dove le garanzie e le risorse per i diritti umani non sono adeguate e prevedono di fatto forme di isolamento indefinito in luoghi isolati o in condizioni punitive, con grave danno per la salute fisica e mentale delle persone”. Ma c’ è ancora un altro dossier più articolato che evidentemente il Governo italiano ha ben presente e che le cancellerie europee dovrebbero avere al tavolo del Consiglio europeo del 14 giugno, anche se ai più il documento è passato inosservato. La scelta del suo estensore, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović, è stata ponderata nel non sollecitare allarmi mediatici e nel rappresentare la situazione esclusivamente sul piano istituzionale. Si tratta del Rapporto pubblicato il 9 marzo 2021 dal titolo eloquente “Una richiesta di soccorso per i diritti umani.

Le crescenti lacune nella protezione dei migranti nel Mediterraneo”, un documento di particolare rilevanza per i rilievi giuridici e politici che contiene, cui sarà dedicato uno speciale contributo dalla Rivista Diritto, Immigrazione e Cittadinanza (Fascicolo n. 2, Luglio 2021).

Nel rapporto il commissario evidenzia che in base ai dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) si sono registrati oltre 2.600 morti nel Mediterraneo nella seconda metà del 2019 e nel 2020, “la stragrande maggioranza dei quali si è verificata sulla rotta del Mediterraneo centrale”. I passaggi più rilevanti del rapporto del commissario riguardano quindi i limiti dell’azione europea nei programmi di reinsediamento per i migranti ed i rifugiati, e nella mancata individuazione di vie sicure e legali che pure sarebbero presenti ma sottoutilizzate. Il commissario si sofferma in particolare sull’efficacia del modello dei corridoi umanitari gestiti dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Caritas italiana, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) e dalla Tavola Valdese, che hanno assicurato percorsi di reinsediamento per 3.060 persone in Italia, Francia, Belgio e Andorra. Ma il Rapporto prosegue con la grave denuncia sulla riduzione e sulle inefficienze nelle attività di search and rescue, sulle conseguenze della politica dell’ostruzionismo “iper-legalizzato” che ha ostacolato le azioni delle ONG, e sulle reiterate condizioni di illegalità dei rimpatri forzati in Libia e della pratica del trattenimento prolungato di migranti e richiedenti asilo sulle navi al largo dei porti di accoglienza. Da qui il monito del commissario: “A questo punto è urgente agire (…) sebbene gli Stati sulla costa mediterranea siano i più direttamente colpiti, e spesso siano quelli che intraprendono azioni che possono seriamente minare i diritti di rifugiati e migranti, anche gli altri Stati membri, che perdonano silenziosamente o che consentono attivamente tali azioni, portano una parte di responsabilità “. E conclude: “I Paesi europei devono modificare con urgenza le politiche migratorie (…), si tratta di una questione di vita o di morte, in cui è in gioco la credibilità dell’impegno dei Paesi europei in quanto difensori dei diritti umani”. Anche se non sono comparsi riferimenti espliciti nelle dichiarazioni ufficiali, è evidente che il rapporto è ben conosciuto dal governo Italiano, ed è molto probabile che anche su questi argomenti l’Italia potrà richiamare con più efficacia l’attenzione dell’Unione Europea sulle proprie responsabilità nelle scelte delle politiche migratorie.

* Membro dell’International Law Association, dell’Associazione Italiana Giuristi Europei e dell’Associazione Italiana di Sociologia.