Le tappe del conflitto siriano e la possibile svolta dopo l’intervento russo

di Marco Pugliese – 

siria ribelliL’avanzata dell’ Is (agosto 2014 – gennaio 2015).
Dall’estate 2014 al gennaio 2015 lo Stato Islamico conquista e rafforza la propria presenza tra Siria ed Iraq. Sconfitto l’esercito iracheno e catturato ingenti quantità di materiale bellico, il cuneo di forze si concentra su Raqqa, che cade portandosi dietro la maggior parte delle provincie siriane, facendo arretrare governativi e “ribelli moderati”. L’avanzata porta alla cattura delle installazioni della 17ma Divisione e della 93ma Brigata, sempre presso la città di Raqqa. A questo va aggiunta la presa dell’importante base aerea di Tabca. L’offensiva jihadista passa poi verso Kobane, lungo il confine turco, ove trova una stagnazione importante; siamo a gennaio 2015.

Le forze governative falliscono gli obiettivi prefissati (febbraio 2015 – settembre 2015).
Sconfitta quasi totale per le forze governative che a partire dal febbraio del 2015 perdono terreno su tutta la linea del fronte. Le forze islamiche con una operazione congiunta con l’esercito della Conquista occupano quasi completamente la provincia di Idlib, di fatto isolando Aleppo e guardando minacciosamente Latakia. A maggio l’Is entra in Palmira e conquista, oltre alla città monumentale, i vicini pozzi di petrolio e si ferma solo ad Hassia. Mossa decisiva che taglia i collegamenti tra Damasco, Homs e Latakia. Is e Fronte Islamico di fatto controllano metà del paese e l’autostrada principale, gestendo vaste porzioni di territorio. A livello morale per i governativi la situazione è disperata (fonti iraniane) e deprimente, nonostante ciò le truppe fedeli a Bashar al-Assad tengono fino al provvidenziale arrivo dei russi a settembre 2015. L’esercito governativo riequipaggiato da Mosca e sostenuto da Hezbollah, Guardiani della Rivoluzione iraniani e aerei russi lancia una nuova offensiva su Aleppo, che però non porterà alla liberazione della città.

La svolta russa: verso una fine del conflitto?
Quattro anni di guerra civile hanno portato a più di 240mila vittime, di cui quasi 90mila governativi, altrettanti delle varie milizie opposte e circa 8mila dell’Is. Le vittime civili si attestano sulle 80mila mentre quasi 11 milioni di cittadini hanno evacuato le proprie abitazioni per sfuggire dalle zone occupate e dal fronte di guerra. L’intervento della Russia non porterà ad una conclusione con un chiaro vincitore, nessun contendete infatti possiede una forza in grado di prevalere del tutto. L’unica soluzione sarebbe un massiccio intervento esterno (Nato?) atto a riportare il paese alla normalità, che di fatto non ci sarebbe dopo anni di violenze. L’intervento russo ha semmai riequilibrato la partita, portando in caso ad una soluzione negoziale su posizioni sullo stesso piano politico e militare. In caso il conflitto dovesse proseguire potrebbe svantaggi geopolitici a tutti i contendenti, una guerriglia continua porterebbe ad una continua instabilità dell’area con conseguente mancato sfruttamento delle risorse petrolifere. I ribelli infatti dovrebbero combattere sia con Is che con i governativi, ovvero senza un successo garantito; d’altro canto l’attuale postura offensiva dell’esercito di al-Assad non potrà essere mantenuta per lungo tempo. Senza il supporto russo, subordinato alle dinamiche politiche di Mosca, le capacità militari di Damasco non garantiscono tenuta nel tempo, Putin infatti modifica la propria agenda basandosi sui continui mutamenti politici internazionali. Il disimpegno da parte russa è sempre dietro l’angolo, motivo per cui la guerra civile siriana possa estinguersi per esaurimento della volontà di combattere. In questo disegno non devono mancare entità territoriali omogenee (alawiti, curdi, sunniti) che cooperando potranno ritagliarsi una sopravvivenza reciproca. Uno scenario di questo tipo potrebbe andare verso un nuovo stato unitario siriano, stabile, requisito fondamentale per l’area interessata. Le varie fazioni potrebbero essere rappresentate nella nuova entità, assumendo un proprio peso specifico a livello politico. Davanti a queste condizioni lo stesso al-Assad potrebbe lasciare il potere, Mosca invece per deterrenza manterrebbe delle basi in loco. In un’evoluzione del genere la Siria potrebbe ritrovare il proprio ruolo, a tutto vantaggio dell’Iran, spettatore attivo dell’intera vicenda.