Libia. Conferenza di Vienna: niente truppe, ma via l’embargo alle armi

di Enrico Oliari

Libia conferenza viennaLa riunione della comunità internazionale sulla Libia, convocata a Vienna dal ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni e dal segretario di Stato Usa John Kerry, ha assecondato le richieste del premier designato del governo di unità nazionale Fayez al-Sarraj di eliminare l’embargo sulle armi.
Già prima della conferenza al-Serraj aveva detto che “Non chiediamo un intervento straniero in Libia, ma chiediamo assistenza con addestramento e la rimozione dell’embargo delle armi al nostro governo: la comunità internazionale ha responsabilità verso la Libia, e quando si tratta di sconfiggere lo Stato Islamico ricordo ai nostri amici che questo sarà raggiunto dagli sforzi libici e senza intervento militare straniero”.
Detto fatto: a termine dell’incontro Gentiloni, al-Serraj e Kerry hanno fatto sapere in occasione della conferenza stampa congiunta quanto stabilito dalla riunione, ovvero che – ha spiegato Kerry – “E’ imperativo che la comunità internazionale sostenga il governo al-Sarraj, che è l’unico legittimo della Libia e ora deve iniziare a lavorare”. “Appoggeremo il consiglio di presidenza e cercheremo di revocare l’embargo e fornire gli strumenti necessari per contrattaccare Daesh”, ha aggiunto Kerry, ribadendo ancora una volta la necessità che si arrivi a una “urgente soluzione della situazione” in libica.
Gentiloni ha aggiunto che “Cercheremo di rafforzare l’accordo politico, per combattere contro l’Isis, incluso il generale Haftar, ma è necessario che vi sia il riconoscimento pieno del governo di unità nazionale”.
Il problema, infatti è sempre lo stesso: se al-Serraj si è insediato a Tripoli, ed anche lì senza il totale sostegno dei vari gruppi e tribù locali, a Tobruk si continua a prendere tempo, con il presidente del parlamento frutto delle elezioni 2014 ma ormai non più riconosciuto, Agila Saleh, che da mesi per primo fa in modo che non vi sia il numero legale per votare il riconoscimento del governo di unità nazionale, ed il generale Khalifa Haftar che, nel tentativo di pesare al tavolo delle trattative, si è scagliato contro l’Isis a Sirte, forte anche degli oltre mille mezzi e delle armi ricevute attraverso l’asse emitarino-egiziano, in barba alla risoluzione dell’Onu.
Districare la matassa del caos libico resta quindi difficile, ma la riunione di Vienna ha accolto la richiesta di al-Serraj di non inviare truppe straniere nel paese nordafricano. Gentiloni ha affermato che “Siamo pronti ad addestrare ed equipaggiare le forze militari libiche come ci chiede il governo al-Sarraj”. Si riapre quindi il mercato delle armi, in un paese dove chiunque abbia una casa nasconde armi in cantina. Ma è impensabile che il governo “di Tobruk” sia armato, lo sia anche l’Isis, lo siano le molte tribù che si approvvigionano attraverso il mare o il Sahel, e non lo sia il governo riconosciuto, voluto dalla comunità internazionale e frutto delle lunghissime trattative mediate dagli inviati Onu, prima Bernardino Leon e poi Martin Kobler.
Si riapre, insomma, un mercato che potrebbe fare gola a molti, ma è necessario essere realisti ed ammettere che al momento non vi sono altre soluzioni.