Lo storico Basciani, ‘Russia, muscoli gonfiati e piedi d’argilla’

‘Effimero il riformismo gorbacioviano, vanificato da un sistema chiuso al cambiamento’.

a cura di Gianluca Vivacqua

Gorbaciov, Eltsin, Putin: in questi tre nomi si riassume la storia russa degli ultimi 35 anni. Dal diadoco illuminato di Černenko si è passati all’homo novus di Butka e poi al solerte funzionario di Leningrado, innamorato dell’antica grandezza della Russia almeno quanto Erdogan lo è di quella ottomana. Gli storici oggi ritengono Gorbaciov e Eltsin i due volti che rappresentano l’epilogo di una stagione da superpotenza socialista, e paragonano Putin a un aspirante piccolo zar che gioca a fare l’erede di un grande impero. Siamo andati avanti o siamo tornati indietro? Attualmente in che direzione (e a che velocità) viaggia la storia sul fuso orario di Mosca? Ne parliamo con Alberto Basciani, professore associato di Storia dell’Europa orientale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre.Tra i suoi contributi più specificamente relativi alla storia russa e sovietica ricordiamo la cura (con A. Macchia e V. Sommella) del volume: Il Patto Ribbentrop-Molotov l’Italia e l’Europa (1939-1941) edito da Aracne nel 2013 e gli articoli From Collectivization to the Great Famine: Eyewitness Statements on the Holodomor by Refugees from the Ukranian SSR 1930-1933, in “Holodomor Studies”, vol. 3, 2011 e La Romania e la grande carestia ucraina del 1932-1933, in “Mondo Contemporaneo”, 2, 2009.

– Professore, dopo la fine dell’impero bizantino il principato di Mosca si proclamò terza Roma ma poi alla fine l’impero russo (e quindi l’Unione Sovietica) divenne qualcosa di più simile all’impero persiano con tante satrapie: i cosiddetti governatorati generali, che poi divennero le repubbliche federate dell’URSS. Una volta dissoltasi, l’Urss si trasformò in CSI (Comunità di Stati Indipendenti) e divenne una sorta di Commonwealth. Poi arriva Putin, col suo imperialismo post-sovietico: è in quest’ottica che sembra favorire l’affermazione di governanti “vassalli” negli ex stati satelliti di Mosca e non disdegnare ingerenze anche di natura militare?
Paragonare epoche storiche così lontane è un esercizio affascinante ma talvolta può facilmente portare fuori strada. Non vedo molti parallelismi tra la fine dell’Impero bizantino, la Moscovia e la dissoluzione dell’Urss. La CSI fu più semplicemente un’operazione di maquillage volta a salvare le apparenze di fronte alla fine repentina e senza rimedio dell’Urss e alla constatazione che ormai non solo le ormai ex repubbliche sovietiche europee ma anche quelle caucasiche e dell’Asia centrale avevano imboccato con determinazione la strada della piena indipendenza nazionale. La Federazione Russa, principale erede dell’Urss, fu costretta a causa delle enormi tare economiche, sociali e politiche che l’affliggevano, a prendere atto della realtà e a ripiegare in buon ordine. Dopo i torbidi di epoca eltsiniana, con l’avvento di Vladimir Putin e l’avvio di un processo di stabilizzazione economica, politica e, per certi versi, anche sociale del Paese che, sia pur tra moltissime contraddizioni, ha fatto comunque segnare dei successi indiscutibili, la Russia ha cercato di riaffermare la propria egemonia nei confronti di alcune realtà statali sorte dal disfacimento dell’Unione sovietica per mostrare in maniera chiara – agli USA, alla Nato, alla Cina – come la potenza russa fosse ormai risorta e come determinati territori (dall’Ucraina, al Caucaso all’Asia centrale) debbano essere considerati zone di quasi esclusivo interesse russo. Tuttavia la partita è tutt’altro che chiusa e ancora tanti fattori possono intervenire per cambiare ancora una volta l’equilibrio stabilito. Tra le tante variabili vorrei citare l’importanza della crescita in tanti paesi dell’ex Urss delle rispettive opinioni pubbliche. Il caso bielorusso mi pare emblematico. Da molti mesi ormai frange più o meno compatte di opinione pubblica sono decisamente schierate contro l’attuale establishment di Minsk. Vale la pena chiedersi se  dietro questa ferma opposizione alla dittatura di Lukashenko operi anche la volontà di voler instaurare un sistema di valori politico e civile che guardi a Occidente più che a Oriente capace di sciogliere quelle briglie che ormai da decenni ibernano il sistema politico e sociale ma, a ben guardare, rendono difficoltosa anche l’effettiva modernizzazione economica che poi, tornando alla Russia, è una delle grandi sconfitte di Putin. Dietro lo sfoggio dei muscoli e i successi della propaganda si nasconde, sostanzialmente, una superpotenza coi piedi, il cuore e la testa d’argilla. Proprio com’era la vecchia Urss“.
 

Mikhail Gorbaciov.
– Nel 1990 Gorbaciov fu insignito del Nobel per la pace per il suo impegno nella distensione internazionale. L’ultimo russo a essere premiato prima di lui era stato un dissidente, Sacharov, perseguitato dal regime sovietico per le sue campagne a favore dei diritti umani. È in questa svolta epocale consumatasi nell’arco di un quindicennio che si può cogliere il senso della rivoluzione operata da Gorbaciov?
Credo che il senso vero dell’operato di Gorbaciov sia stato nell’aver avviato – per certi aspetti quasi senza volerlo – un processo di rinnovamento della società sovietica sollevandola dalla sclerotizzazione civile e intellettuale dei decenni precedenti. Tutti i tentativi di riforma economica e politica si sono tradotti in fallimenti con gravissime ripercussioni sulla stabilità del sistema, nel tenore di vita della popolazione ecc. Tuttavia rispetto a tali disastri nella società sovietica si innestarono anche energie positive che portarono a un tentativo di rinnovamento dell’universo intellettuale e artistico e a una volontà di impadronirsi finalmente di un passato falsificato continuamente dal regime sovietico. Questo è stato il più grande contributo offerto da Gorbaciov al proprio paese. Naturalmente  le riforme che Gorbaciov ha tentato di mettere in atto in Unione sovietica hanno senz’altro prodotto dei cambiamenti nel rapporto tra il potere e l’opinione pubblica e la liberazione di Sacharov fu senz’altro effetto di un rilassamento del regime totalitario con il tentativo abbozzato di trasformare l’Urss in uno stato di diritto“.

– Sembra in un certo senso che ci siano due Gorbaciov per la storia: un Gorbaciov internazionale, diventato un mito, e un Gorbaciov che, con la sua glasnost e la sua perestrojka, nell’intento di modernizzare l’Urss, ha finito per dissolverla. È così?
In effetti Gorbaciov era un homo sovieticus convinto della sostanziale bontà del sistema ereditato. Per cui il suo fu semplicemente un tentativo di innestare una riforma in un sistema nei fatti impossibile da emendare e ciò lo portò a confondere i sintomi di una malattia mortale (assenteismo, lassismo, disorganizzazione, alcolismo, corruzione ecc. ecc.) con le cause. In un mondo ormai in piena rivoluzione informatica, con strumenti finanziari sempre più complessi ecc. l’Urss rimase attaccata ai piani quinquennali, ai kolzoch, alla pianificazione ecc. Gorbaciov e i suoi collaboratori erano figli di un sistema autoreferenziale sviluppatosi in competizione con quello occidentale – nei confronti del quale si credeva fosse superiore – ma senza conoscerlo davvero. Se l’isolamento forzato contribuì a salvaguardare il potere sovietico allo stesso tempo ne accentuò il decadimento tagliando fuori l’Urss dalla ciurcolazione di idee, commerci, uomini ecc. Ancora alla fine degli anni ’80, Egor Ligaciov in visita a New York chiedeva candidamente al suo interlocutore, uno strabiliato Stephen Kotkin, quale fosse il sistema adottato dall’amministrazione americana per rifornire così bene e capillarmente una città grande come quella. Infine vale la pena accennare al fardello rappresentato dell’impero esterno sovietico: una serie di Paesi dalla sopravvivenza sempre più problematica e affidato solo ai potenti apparati repressivi. Lo sfascio morale e materiale dell’Est Europa (a cui potremmo facilmente aggiungere Cuba e altri Paesi legati a doppio filo con Mosca) rappresentano plasticamente il fallimento totale del sistema sovietico“. 

Vladimir Putin.
– Tra Gorbaciov e Putin sembrano essere passati dei secoli, eppure c’è solo un intermezzo temporale tra loro due, la presidenza di Eltsin. Quali le sue responsabilità nel passaggio dalla Russia post-sovietica alla Russia – per così dire – neo-zarista? 
Gli anni di Eltsin rappresentano per molti osservatori il momento di maggiore decadenza politica, economica, morale della Russia contemporanea, una vera e propria riproposizione alla fine del XX secolo dell’epoca dei torbidi a cavallo tra XVI e XVII secolo. È difficile discostarsi da quell’immagine, bisogna anche chiedersi se esisteva davvero la possibilità di un’alternativa concreta. Ho qualche dubbio. Il sistema totalitario sovietico aveva sradicato alla radice qualsiasi forma di opposizione, qualsiasi discussione attorno a questioni politiche, economiche e sociali. I dissidenti erano pochi e isolati, senza reale seguito nella società, nei fatti non esisteva una vera e propria opposizione. L’Urss era un sistema chiuso alla circolazione di idee, refrattario a ogni discussione, persino la ricerca scientifica ne era limitata. Lo stato totalitario per difendersi dai pericoli reali o immaginari che fossero agiva con disinvoltura e ogniqualvolta lo riteneva opportuno si ergeva al di sopra della legge e della stessa legalità socialista. Dunque vale la pena chiedersi da dove dopo il 1989 sarebbero potute scaturire idee e progetti per un paese nuovo, per una società nuova. La dissimulazione in ogni campo anche della vita quotidiana era diventata la regola aurea per vivere in pace e senza problemi; pensare che in un simile contesto sarebbe potuta scaturire qualche energia nuova e vivificatrice è irreale e, dunque, il caos, i torbidi eltsiniani furono una conseguenza quasi del tutto inevitabile del crollo di un sistema che per preservarsi aveva dovuto soffocare senza pietà ogni energia e ogni idea che si discostassero dalla vulgata ufficiale“.