L’Unione Europea tra sfide ed opportunità nelle vicende della EastMed e del Vicino Mediterraneo

di Tiziana della Ragione

Le tensioni che da mesi dilagano nel Mediterraneo orientale rischiano di compromettere il progetto EastMed che potrebbe assicurare all’Unione Europea una diversificazione del suo approvvigionamento di gas, diminuendo così la sua dipendenza soprattutto dalla Russia, il più grande esportatore in tutto il continente che minaccia di influenzare in maniera sempre più pronunciata la politica dell’Unione.
I diversi interessi degli attori coinvolti nel mercato del gas hanno già polarizzato la scacchiera internazionale e la firma degli Accordi di Abramo, che marca l’avvicinamento di Israele a due paesi del Golfo, gli Emirati Arabi Uniti e Bahrain, potrebbe acuire le tensioni tra Grecia e Turchia e tra Israele e Palestina.
L’Unione Europea è parte integrante della vicenda non solo come osservatore dell’East Med Gas Forum ma anche come potenziale fruitore del gas, proveniente da questa regione del Mediterraneo. Il suo ruolo negli avvenimenti che si susseguono a grande velocità sembra però vacillare, non solo per l’incapacità di parlare con un’unica voce, che rispecchia evidentemente interessi diversi tra i suoi stati membri, ma anche perché la Turchia è un partner difficile da sanzionare senza avere ripercussioni importanti, come lo sbarco improvviso sulle nostre coste di un’ondata di
milioni di migranti rilasciati da quest’ultima.
Per capire che momento sta vivendo l’Europa, tra molte sfide ed opportunità, dobbiamo partire dalle sue relazioni con Israele e gli altri protagonisti del gas nella regione del Mediterraneo orientale.
La cooperazione tra l’Unione Europea ed Israele nel settore del gas si è rafforzata negli ultimo decennio, soprattutto in seguito alla scoperta di nuovi giacimenti al largo di Israele, agli inizi degli anni 2000. Recenti ricerche condotte dal Ministero dell’energia israeliano indicano che le riserve di gas del paese superano i 1000 miliardi di metri cubi (bcm), distribuite su tre principali giacimenti: quello di Tamar, quello di Leviathan e un terzo costituito da cinque giacimenti minori: Tanin, Mari-B, Noa, Dalit, Dolphin e Shimshon (1).
Israele utilizza la maggior parte del gas estratto per soddisfare il proprio fabbisogno di energia elettrica ma, disponendo di un’eccedenza, stimata intorno al 40%, sta cercando di favorirne l’esportazione e guarda all’Unione Europea come un potenziale fruitore. Le esportazioni del gas israeliano sono già cominciate verso i Paesi limitrofi, come la Giordania e l’Egitto (2) dove l’avvicinamento di interessi comuni nel settore energetico si è dimostrato un importante strumento di stabilizzazione nella regione tra Paesi che intrattenevano una pace “fredda” di “non belligeranza”, come è il caso tra Israele e l’Egitto dopo gli accordi di pace del 79. Israele ha però bisogno di un bacino più grande per vendere tutto il gas presente nei suoi giacimenti e l’Europa rappresenta un grande mercato su cui puntare.
Sembrerebbe quindi una win-win situation quella di una possibile collaborazione tra l’Unione Europea ed Israele, se non fosse che ci sono altri attori coinvolti e che da questa “intesa” non tutti abbiano da guadagnare.
Cerchiamo di capire meglio chi sono gli altri protagonisti del gas nel Mediterraneo Orientale e da quali interessi sono mossi.
Prima di tutto è importante ricordare che nel Mediterraneo orientale Israele non è l’unico Paese a possedere giacimenti di gas; Il giacimento cipriota di Aphrodite, ad una trentina di chilometri nord-est di Leviathan, ha una riserva di gas stimata a 125 bcm, mentre quelli egiziani sono molteplici e copiosi, con riserve quasi 20 volte superiori al giacimento cipriota (3).
E’ evidente che per arrivare all’Europa i produttori di gas devono non solo stabilire con quest’ultima relazioni bilaterali credibili e stabili ma devono soprattutto avere la capacità di coordinare i propri sforzi, stabilendo sinergie.
Questo in sintesi è quello che sta succedendo, dove l’esistenza di diversi Paesi interessati all’esportazione del loro gas si è tradotta nella necessità di stabilire una collaborazione tra i rispettivi governi e l’Unione Europea. Attualmente si discutono i pro e i contro dei diversi scenari possibili secondo cui il gas dovrebbe raggiungere le coste del nostro continente.

(Foto: Banca Mondiale degli Investimenti).

Un’opzione prevederebbe l’utilizzo di impianti di liquefazione del gas (GNL) egiziani di Idku e Damietta, la riattivazione di quest’ultima stazione discussa proprio negli ultimi giorni (4); un’altra opzione prevederebbe la costruzione di un terminale di GNL a Cipro; un’altra ancora un collegamento di gasdotto tra i giacimenti di gas Aphrodite e Leviathan con terminale GNL a Idku o oleodotto offshore dalla piattaforma di Tamar al terminale GNL di Damietta.
Il progetto più ambizioso, stimato tra i 6 e 7 miliardi di dollari (5), rimane quello che prevede la costruzione di un nuovo gasdotto, l’East-Med Pipeline, capace di trasportare gran parte del gas israeliano e cipriota verso l’Europa, passando prima per l’isola greca di Creta, per poi raggiungere l’Italia.
L’accordo intergovernativo firmato lo scorso gennaio tra Grecia, Israele e Cipro, che prevederebbe un trasporto iniziale di 10 bcm di gas, segna sicuramente un passo importante per la realizzazione dell’infrastruttura energetica (6). L’unione Europea ha investito ingenti somme monetarie per co-finanziare uno studio di fattibilità, attraverso lo strumento finanziario Connecting Europe Facility.
Mentre però l’Europa e i suoi partner lavorano per favorire l’avanzamento di questo ambizioso progetto, la Turchia rema nella direzione opposta, dato che non potrebbe beneficiare della realizzazione di questo progetto, che per ora non la vede tra i protagonisti. La Turchia punta infatti non solo a diventare un Hub regionale del gas, ma anche a cercare di estorcere una sua partecipazione all East Med. Un articolo di Guido Keller apparso qualche giorno fa su Notizie Geopolitiche, ci spiega come la tensione nel Mediterraneo orientale stia aumentando, a causa all’iniziativa presa dalla nave turca Orus Reis di cominciare le perforazioni esplorative nelle acque contese tra la Turchia da un lato e la Grecia e Cipro dall’altro. Ankara ha inviato una missione navale di esplorazione energetica al largo di Kastellorizo, l’isola greca contesa tra le due nazioni e rivendicata dal governo turco come parte della propria piattaforma continentale, perché a soli due chilometri dalle sue coste. Allo stesso modo, altre attività di esplorazione energetica sono cominciate anche intorno all’Isola di Cipro, che la Turchia considera secessionista, rivendicando quest’ultime come proprie e come parte di Cipro Nord. Erdogan sembra determinato a rilanciare l’economia del suo paese, falciata da una crisi finanziaria che non ha potuto che aggravarsi ulteriormente con la Pandemia del Covid-19 ed ignora le innumerevoli esortazioni, provenienti da molti paesi Europei, in primis la Grecia, che lo invitano ad interrompere le sue attività.
L’Unione Europea è purtroppo incapace di azioni risolute e continua a mostrarsi titubante quando si tratta di passare all’azione e tradurre le buone esortazioni in onerose sanzioni da imporre a partner di rilievo che osano infrangere i trattati internazionali. Questa Incapacità è spesso dettata dall’arma del ricatto in possesso da parte di coloro che infrangono le regole. La Turchia fino ad oggi ha già violato il trattato di Montego Bay sulla delimitazione marittima e quello di Losanna sulla delimitazione delle isole dell’Egeo ma, minacciando il rilascio di milioni di migranti sulle nostre coste, riceve solo esortazioni e non sanzioni.
L’Unione Europea si mostra inoltre, ancora una volta, incapace di parlare con un’unica voce; i diversi interessi di alcuni stati membri hanno già polarizzato la scacchiera internazionale che vede da un lato Francia, Israele ed Egitto, al fianco di Grecia e Cipro e dall’altro la Turchia, appoggiata da Libia e Qatar. La vicenda potrebbe acuirsi ulteriormente, in seguito alla firma degli recenti Accordi diplomatici di Abramo, avvenuta lo scorso 15 Settembre nei giardini della Casa Bianca, che certificano il disgelo delle relazioni tra Israele, Bahrain e Emirati Arabi Uniti.
L’apertura di Israele verso i due Paesi del Golfo implicherebbe potenzialmente anche il loro posizionamento a suo fianco nei delicati equilibri del gas, e il perpetuarsi delle ostilità di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita contro il Qatar.
Le implicazioni degli Accordi di Abramo sono molteplici come molteplici sono gli studi attualmente in corso, non ultimo quello condotto dall’Istituto Nazionale di Studi Strategici Israeliano (INSS), che mirano a comprenderne la complessità e le conseguenze. Forse proprio perché la questione del gas nel Mediterraneo orientale è delicata e, geopoliticamente parlando, in evoluzione continua alcuni attori importanti come la Germania che ha interessi commerciali molto stretti con la Turchia, la Russia e Stati Uniti stanno esplorando la strada della mediazione piuttosto che quella dello schieramento. Il mese scorso la missione a Cipro del segretario di stato americano Mike Pompeo così come l’offerta di mediazione russa da parte del ministro degli esteri Sergei Lavrov, sono da interpretare come tentativi di mediazione e possibile negoziazione.

Mentre l’Unione Europea sembra essere stata risucchiata in una serie di eventi la cui portata va molto oltre i suoi confini, l’Italia prepara la visita del ministro degli Esteri Luigi Di Maio in Israele che dovrebbe incontrare il suo omologo Gabi Ashkenazi a fine mese per discutere diverse questioni internazionali, tra cui, evidentemente, i recenti sviluppi sulle questioni del gas nella regione.
Il nostro paese potrebbe giocare un ruolo importante nel facilitare i negoziati per esportazione del gas verso l’Europa non soltanto perché rappresenta la stazione di arrivo del futuro gasdotto ma anche perché è parte integrante dell’Est Mediterranean Gas Forum (Emgf), un’organizzazione regionale con base al Cairo che recentemente si è dotata di uno statuto internazionale di cui fanno parte anche Egitto, Cipro, Grecia, Israele e Autorità nazionale Palestinese; Emgf rappresenta il principale canale diplomatico in grado non solo di stabilizzare le fortissime tensioni che da mesi dilagano nel Mediterraneo orientale ma anche di sviluppare la macro-regione e permetterne quindi la ripresa economica durante la Pandemia.
L’Italia è nel posto giusto al momento giusto, le manca solo un sostegno più credibile da parte dell’Unione Europa che speriamo non tardi ad arrivare.

Note:
1 – Ministry of Energy Report 2019, “Israel’s 2nd Offshore Bid Round-New Exploration Opportunities in the Levant Basin”.
2 – Israele ha recentemente firmato tre contratti per un valore di 12 miliardi di dollari con la Giordania e due contratti per un valore di 15 miliardi di dollari con l’Egitto.
3 – L’Egitto controlla circa 2200 bcm di gas, escludendo il giacimento di Zohr recentemente scoperto, la cui riserva energetica si aggirerebbe intorno agli 850 bcm di gas.
4 – Alessandro Sperandio, 12 Ottobre 2020, “Gnl, ripartono i colloqui per il riavvio dell’impianto di Damietta”; energia oltre.
5 – Angeliki Koutantou, 2 Gennaio 2020, “Greece, Israel, Cyprus sign EastMed gas pipeline deal”.
6 – IGI Poseidon Agreement, 3 Gennaio 2020.