Madagascar. Tempi di populismo messianico?

di Francesco Giappichini

Il neoeletto presidente del Madagascar, Andry Rajoelina, ha confermato come capo del governo Christian Ntsay. Quest’ultimo stabilisce così il record di longevità per un primo ministro malgascio, dall’inaugurazione della Quatrième République, nel dicembre del ’10. Ntsay guida l’Esecutivo del Paese dal giugno ’18, quando fu nominato premier dall’allora presidente Hery Rajaonarimampianina. Resterà in carica sino al voto per rinnovare l’Assemblée nationale, previsto intorno a luglio. E in vista delle elezioni legislative Rajoelina farà il possibile, forse anche di più, per evitare la “cohabitation”: per lasciare cioè ai margini della politica quelle opposizioni che hanno boicottato le presidenziali di novembre.
Un boicottaggio peraltro anche politicamente irrilevante, considerata la vittoria schiacciante del presidente uscente. L’anno appena trascorso è stato decisivo per l’assetto politico nazionale, e vari osservatori, non esclusi i corrispondenti stranieri, hanno cercato di misurare il grado di autoritarismo del regime instaurato da Rajoelina. A questo riguardo è interessante il dibattito originato da un breve saggio, che è stato pubblicato in novembre sull’autorevole rivista online “Le Grand continent”, e ha rispolverato il concetto di “populismo messianico”. “Il mandato di Rajoelina è caratterizzato da una restaurazione autoritaria, che è accompagnata da un populismo messianico, sostenuto da una propaganda permanente”.
Lo hanno scritto i politologi Juvence F. Ramasy e Olivier Vallée sulla suddetta testata diretta da Gilles Gressani, punto di riferimento del dibattito geopolitico francese. Si tratta di una definizione sufficiente, per descrivere la parabola del presidente del Madagascar, Rajoelina, rieletto per un secondo mandato lo scorso novembre? A nostro giudizio no, poiché andrebbe aggiunto che questo «populisme messianique», tutto permeato di paternalismo, poggia su due solidi pilastri. Il primo di essi è ben espresso dalla formula, in lingua malagasy, “manara penitra”: ovvero quegli ambiti “standard internazionali”, che devono guidare nella costruzione di ogni progetto, sia esso sociale oppure infrastrutturale.
Sì, perché la classe dirigente che si è raccolta intorno a Rajoelina punta comunque (anche per ragioni inconfessabili, beninteso) alla modernizzazione del Paese. Il secondo pilastro va invece a coincidere con l’energia e il dinamismo, che hanno sinora permeato l’azione dei governi guidati(de facto) dal capo dello stato. Non a caso, e al di là dell’incapacità di realizzare le troppe promesse elettorali, riesce da oltre quindici anni a onorare il soprannome “Tgv”, che non solo e non tanto è l’acronimo del suo partito Tanora malagasy vonona (Giovani malgasci determinati), ma richiama piuttosto il train à grande vitesse, il treno ad alta velocità. In realtà l’articolo di “Grand continent” s’inserisce in una linea di grande severità verso l’attuale corso politico malgascio. Un approccio tenuto da buona parte della stampa estera e dei think tank (come dimostrano gli implacabili servizi della corrispondente di “Le Monde”, Laurence Caramel, e della premio Pulitzer, Gaëlle Borgia, per “France 24”), e che ha causato una certa freddezza della comunità internazionale, quando si è trattato di riconoscere l’esito del voto, o di esprimere le congratulazioni al neoeletto. Così lo stesso Eliseo ha preferito inviare alla cerimonia d’insediamento una delegazione di livello inferiore, rispetto al ’19.